Comunemente il termine è spesso usato come sinonimo di anoressia nervosa, ma in realtà esistono molteplici possibili cause di una diminuzione dell’appetito, alcune delle quali potrebbero risultare innocue, mentre altre sono indice di una grave condizione clinica o comportano un rischio significativo. L’anoressia nervosa (AN) è, insieme alla bulimia, uno dei più importanti disturbi del comportamento alimentare, detti anche Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP).

Ciò che contraddistingue l’anoressia nervosa è il rifiuto del cibo da parte della persona e la paura ossessiva di ingrassare. Nelle forme più gravi possono svilupparsi malnutrizione, inedia, amenorrea ed emaciazione.

Le sue origini nosografiche sono molto antiche. Coinvolge nella sua evoluzione funzioni psicologiche, neuroendocrine, ormonali e metaboliche. I trattamenti possibili sono ancora in fase di studio, le cure farmacologiche attuali possono dare solo un modesto beneficio alla persona.

L’anoressia nervosa è una malattia, e non deve essere confusa con il sintomo chiamato anoressia, la cui presenza invece è indice di un differente stato patologico dell’individuo.

L’anoressia è considerata una malattia del “mondo industrializzato”, anche se i primi casi accertati e riconosciuti si riferiscono ad epoche antecedenti; inoltre rimane altamente probabile che in epoca remota esistesse già tale disturbo. L’anoressia e i disturbi alimentari in generale sono una vera e propria emergenza sanitaria nei paesi occidentali industrializzati e, secondo molti autori, sono in continuo aumento. In realtà i vari studi effettuati non concordano: se parte di essi tende a evidenziare un preoccupante aumento dei casi,altri sottolineano l’andamento costante, senza alcuna variazione. Secondo i dati ricavati dalla letteratura la prevalenza(numero totale dei casi nella popolazione) dell’anoressia si attestava attorno allo 0,3% nel 2003, mentre l’incidenza(numero di nuovi casi nella popolazione in un determinato periodo di tempo) è di 8 casi per 100.000 soggetti in un anno. La percentuale poi è stata aggiornata a 0,42% nel 2006 da studi condotti in Italia. In seguito, nel 2007,la prevalenza si sarebbe leggermente alzata, attestandosi attorno allo 0,5% o, come suggerisce più pessimisticamente un altro studio, avrebbe superato il 2%. Per quanto riguarda l’età di esordio, questa si situa fra i 12 e i 25 anni (anche se si sono verificati negli ultimi anni diversi casi che superano i 30 anni), con il momento più critico fra i 15 e i 19 anni.

Altri studi hanno trovato picchi di incidenza in corrispondenza dei 14 e 18 anni d’età.

La malattia quindi colpisce soprattutto gli adolescenti, anche se ultimamente si stanno sempre più registrando casi negli adulti e anche tra gli anziani.

Altra caratteristica tipica dell’anoressia è quella di essere un disturbo prettamente femminile: circa il 90% dei casi, infatti, si sviluppa nel sesso femminile. Il problema comunque non riguarda solamente le donne. Anche se gli studi sul sesso maschile sono minori, è stato stimato che sul totale degli ammalati risultano essere presenti dal 5% al 10% di casi riguardanti ragazzi adolescenti e maschi adulti.

Tra i fattori predisponenti è rilevante il fatto di avere un familiare che soffre, o ha sofferto, di un disturbo del comportamento alimentare. Altra causa che può portare allo sviluppo di tali problemi è il crescere in una famiglia dove esiste una grave difficoltà nella comunicazione interpersonale e nell’espressione delle proprie emozioni, in tal caso l’anoressia può assumere il senso di una “comunicazione senza parole” alla famiglia, nella famiglia e per la famiglia (con vari aspetti di protesta, di richiesta di attenzione, di manifestazione di un disagio individuale o del sistema famigliare nel suo complesso).

In altri casi il disturbo può dipendere da significativi problemi di autostima, legati eventualmente anche a feedback negativi e reiterati dal sistema sociale, famigliare o amicale. Disturbi dell’alimentazione possono insorgere anche in seguito a marcate delusioni affettive, o gravi problemi relazionali nella coppia.

Altri fattori di rischio sono l’appartenenza a determinati gruppi sociali in cui è rilevante la tematica del controllo del peso (ad es .ballerine/i,ginnaste/i,cicliste/i o altri sportivi professionisti); il vivere in un’area urbana di un paese occidentale, dove la magrezza viene enfatizzata come un valore sociale positivo; il fatto di soffrire di un disturbo della personalità. Un ruolo importante viene svolto anche dai mass media, mostrando alle donne più giovani canoni di bellezza non corrispondenti al loro fisico.

Fra i primi ad accorgersi di un risvolto psicologico della malattia fu John A. Ryle, che nel 1936 notò una correlazione della malattia con le delusioni d’amore. Oltre ai fattori sociali e familiari, vi sono importanti fattori di rischio legati al forte desiderio di sottoporsi (spesso ripetutamente) a diete ferree per il raggiungimento di uno standard estetico; la difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti e agli eventi stressanti, fallimenti amorosi; gravi difficoltà scolastiche o lavorative; alterazione della normale condizione familiare o anche una forzata separazione da essa; lutti o gravi incidenti occorsi ad amici o parenti; abusi sessuali e fisici.

Processo importante di mantenimento del disturbo è quello della dismorfofobia: le persone con questa difficoltà non solo non sono soddisfatte del loro aspetto, ma non riescono ad osservarlo e percepirlo con obiettività, bensì lo vedono distorto e peggiore di quello che in realtà è. La dismorfofobia non è solo un’errata valutazione “razionale” del dato percettivo (ad esempio, davanti allo specchio): è un disturbo psicopatologico che va a coinvolgere la rappresentazione del proprio “schema corporeo”, e che richiede un intervento specifico.

Il fenomeno è stato confermato anche da studi di neuroimaging: dei pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale una tecnica capace di visualizzare la risposta emodinamica correlata all’attività neuronale dell’encefalo, ed i loro pattern di attivazione neurale sono stati messi a confronto con quelli di persone senza patologie alimentari, rivelando alcune differenze significative.

Da non trascurare anche il rischio di effetti di circolo vizioso: il soggetto vive uno stato di ansia e depressione in relazione alla sua situazione, che lo portano a digiunare; la malnutrizione facilita a sua volta uno stato di disforia nell’individuo, intensificando la sua depressione.

Credo che in queste poche righe abbia espresso quasi per intero, il significato di questa patologia o “parola” che spaventa e che purtroppo a volte non si comprende pienamente.

Nella pratica riabilitativa, ho potuto osservare che attraverso la Danza-movimento-terapia, i pazienti affetti da anoressia nervosa, miglioravano la percezione oggettiva e reale del proprio schema corporeo, portando conseguentemente questi ultimi, a percepirsi in maniera meno distorta, più vicina alla realtà . Il contatto con il proprio corpo attraverso la danza ed i suoni, hanno portato non ad una guarigione totale, ma ad un passo verso un graduale miglioramento dello stato psicopatologico dei pazienti.

Sentirsi pienamente dunque ed accorgersi dell’inscindibile legame tra psiche e soma, facilita qualsiasi terapia riabilitativa, nel raggiungimento di obiettivi terapeutici rilevanti.

Dott.ssa Francesca Tornatola

(Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica)

Avatar

Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

Lascia un commento