Il reale dilemma attuale. Stralci di risoluzione. Replica propositiva all’articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 27 dicembre 2011, da Fiorenza Sarzanini. Ciò che è l’effettiva realtà attuale nel panorama del doppio lavoro sommerso del pubblico dipendente, è una contingenza pressoché “fantasma” intesa come un principio che tutti conoscono ma che stranamente nessuno desidera alacremente sviscerare con fermezza e con solerte desiderio propositivo di risoluzione.
Pochi giorni fa, un articolo pubblicato dal “Corriere della Sera”, (reperibile al seguente link: http://www.corriere.it/economia/11_dicembre_27/Consulenze-Incarichi-Privati-Doppio-Lavoro-degli-Statali-starzanini_fd675950-3051-11e1-8f40-f15d26f90444.shtml ) ha ancora evidenziato un’inchiesta coordinata dalla Guardia di Finanza nella quale si evince che moltissimi dipendenti pubblici sono stati colti nella flagranza di esercizio non autorizzato di lavori extra-istituzionali, alcuni dei quali contraddistinti da azioni truffaldine nei confronti dell’amministrazione di appartenenza.
Nel pieno rispetto che è utile accordare alla redazione del corriere per la capacità di dettagliare problematiche effettive con ascendenti ascritte alla contingenza attuale e globale di evasione fiscale, ed escludendo casi truffaldini messi in atto da una minoranza di pubblici dipendenti, sarebbe utile trattare anche la problematica inerente alle difficoltà oggettive che incontra il pubblico dipendente che al contrario degli evasori, vuole regolarizzare la sua attività extra. (così come statuito, a seguito della triplice riforma avvenuta nel settore, dall’art. 53 del decr. Leg.vo 165/2001 e successive modifiche inserite nella legge n. 145 del 15 luglio 2002).
Negli articoli specialistici pubblicati in precedenza, è stata ampiamente trattata la tematica con l’evidenziazione delle effettive complessità tecnico-burocratiche incontrate quasi costantemente dal dipendente nel processo di legalizzazione delle attività extra.
Colui che intende regolarizzare un’attività extra-istituzionale, trova sulla propria strada normative non trasparenti e non sufficienti a fornire chiari ragguagli operativi sulle modalità di regolarizzazione e compilazione delle autorizzazioni nonché sulla tanto fumosa “disciplina delle incompatibilità”. (Confronta l’articolo intitolato “Tutta colpa del dipendente? Parte 1°” disponibile al link: http://www.atlasorbis.it/doppio-lavoro/245-doppio-lavoro-sommerso-dei-pubblici-dipendenti-.html )
Inoltre, da un ulteriore sondaggio proposto dalla comunità di doppiolavoro.com, è apparso eloquente il fatto che il dipendente che si approccia alla propria amministrazione per ottenere indicazioni o informazioni utili per regolarizzare la propria posizione, dopo essere adeguatamente massificato come una sorta di eversivo dissidente, ottiene inadeguate risoluzioni tanto da riscontrare una deleteria inettitudine che gravita attorno alla tematica nonché una forma-mentis alacremente recalcitrante nei confronti delle attività extraprofessionali e dei relativi dipendenti che tentano di regolarizzarle, nonostante che le normative di settore aprano le branchie a tali possibilità. (Per vedere gli esiti del sondaggio confronta l’articolo intitolato “Tutta colpa del dipendente? Parte 2°” disponibile al link: http://www.atlasorbis.it/doppio-lavoro/249-doppio-lavoro-sommerso-dei-pubblici-dipendenti.html ).
Inoltre è utile evidenziare che la grande maggioranza delle attività extra dei pubblici dipendenti, sono attività con introiti limitati, utili ad un congruo arrotondamento dello stipendio, compiuto in una contingenza come quella attuale nella quale una condizione familiare monoreddito è globalmente insufficiente per un appropriato tenore di vita. Meno rilevanti sono certo quelle attività con alti rendimenti che spesso vengono largamente pubblicizzate dagli organi di stampa. Il pubblico dipendente arrotonda spesso con mestieri comuni di rilevanza popolare.
Eppure certi articoli di stampa pare abbiano, in un riscontro generale di opinione pubblica, l’ignaro potere di inquadrare il pubblico dipendente al pari di un predone e malfattore in carico alle pubbliche amministrazioni, una sorta di truffatore legalizzato.
Sempre escludendo casi di effettiva responsabilità penale del pubblico dipendente in isolati episodi truffaldini chiaramente da reprimere, ed elogiando il doveroso compito delle amministrazioni volto a contenere e sanzionare generici atteggiamenti irriverenti dei propri subordinati, sarebbe utile pubblicizzare adeguatamente e con il medesimo tenore, anche l’altro risvolto della medaglia, quello relativo alle croniche difficoltà burocratiche e gestionali del cosiddetto “regime autorizzatorio”, spesso accompagnato da inadeguata competenza settoriale e troppo spesso condito da una forma mentis mai evolutiva e recalcitrante alla radice. Da aggiungere inoltre la nociva forma strategica ed organizzativa delle amministrazioni che abbandonano la disciplina autorizzatoria tra le branchie della pura e deleteria discrezionalità del singolo operatore preposto alla trattazione delle istanze, formando coscientemente episodi e casistiche con risultanze a dir poco opposte in casi pressochè similari anche all’interno dello stesso ente. Episodi che radicano nocivi presupposti di irrazionalità disappunto e regressione.
Il quesito, alla luce e come conseguenza degli articoli di stampa che denunciano il secondo lavoro in nero dei pubblici dipendenti, continua ad essere il medesimo: perché il dipendente esercita attività extra nel sommerso? Ha possibilità di regolarizzarsi e trova la strada spianata nel cammino che transita nella legalizzazione? Oppure il sommerso molto spesso è una conseguenza di carenze oggettive di procedura e informazione?
Abbiamo visto, con chiari ed eloquenti responsi, che il cammino della legalità risulta essere gravoso e spesso inespugnabile con scogli insormontabili di irrazionalità cognitiva. Il risultato? Lavoro sommerso. Evasione fiscale. Proprio per una semplice motivazione: la grande maggioranza dei dipendenti vogliono e desiderano ardentemente legalizzare la propria posizione e chiedono costantemente informazioni e dettagli. Solo una minoranza sono i dipendenti che esercitano attività di tale portata da non poter comunque avere presupposti anche minimi di compatibilità e legittimazione.
Ma lo stesso dipendente, se per giungere alla piena legalizzazione delle attività, deve affrontare inesplicabili problematiche e grattacapi, muri di inettitudine dilagante, scogli rocciosi e insormontabili, ritardi e condotte recalcitranti, materialmente come si comporta?
Abbiamo provato a chiederlo alle migliaia di utenti della comunità di doppiolavoro.com che hanno risposto nella maniera seguente;
La domanda del sondaggio era:
“Se trovi incompetenza o problematiche nella procedura di autorizzazione, desisti oppure eserciti comunque il secondo lavoro sotto banco? Esprimi la verità..”
Vediamo le risposte che hanno fornito gli utenti della comunità:
Il 41% risponde: Esercito comunque l’attività perchè ne ho effettivo bisogno.
Il 21.5% risponde: Studio la materia e la porto a conoscenza della mia amministrazione
Il 18,8% risponde: Esercito comunque l’attività e me ne frego.
Il 13,2% risponde: Se il mio ufficio non è orientato all’autorizzazione esercito l’attività comunque sotto banco.
Il 3.5% risponde: Se trovo incompetenza desisto.
Il 2.1% risponde: Seguo alla lettera le direttive dell’amministrazione.
Risposte eloquenti.
CONCLUSIONI.
Cosa c’è dietro al lavoro sommerso dei dipendenti pubblici?
Il primo sondaggio aveva riscontrato radicali carenze normative. Il solo art. 53 del decr. Leg.vo 165/2001 (è possibile esercitare attività extra previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza) non delucida affatto modalità operative, casistiche, presupposti tecnici per giungere all’autorizzazione senza problemi, nonché un’adeguata disamina della disciplina delle incompatibilità. Buio totale nei dettami di regolarizzazione.
A quel punto il dipendente si rivolge all’amministrazione, l’ente preposto alla trattazione delle istanze e delle casistiche specifiche che proprio per questa funzione dovrebbe essere adeguatamente competente detenendo anche il regime sanzionatorio e di controllo. E la competenza delle amministrazioni?
Dal secondo sondaggio abbiamo appurato, direttamente dalla voce del dipendente, che un buon 34% delle amministrazioni gravita nel “forse si, forse no…”, ma non conosce adeguatamente norme e casistiche e nella fattispecie nel 55% dei casi addirittura pare non abbiano minima competenza sulla tematica.
Ed ecco in ultimo il responso del sondaggio pubblicato oggi: a fronte di queste immense carenze il dipendente cosa fa? Nel 75% dei casi esercita comunque l’attività- extra sotto banco, spesso perché ne ha effettiva necessità familiare.
Nell’intera esposizione notiamo la realtà nascosta, quella che nessuno vuol vedere, quella celata dietro alla figura di un dipendente spesso non così irrazionale e negligente come descritto dalle testate nazionali, ma molto più spesso persona comune con problematiche universali adeguate elle evoluzioni generazionali ed economiche della società attuale e con reali problematiche di legalizzazione.
Concludiamo con quella che deve essere la finalità propositiva di ogni forma di denuncia. La possibilità di migliorare la condizione comune, di sconfiggere l’evasione fiscale portando all’emersione delle attività sommerse.
Le strade sono due:
Utilizzare solo la mannaia e la doppietta, sparando a vista in una lotta senza quartiere contro tutti i dipendenti che esercitano attività extra non autorizzate, senza alcun tipo di riforma o evoluzione della situazione attuale.
Oppure la seconda: migliorare la cultura, delucidare a dovere le norme, rendere edotte le amministrazioni e gli stessi dipendenti con regolamenti e soprattutto con modalità tecniche appropriate, funzionali ed evolute, efficacemente reclamizzate, non abbandonate in preda alla pura discrezionalità di un singolo operatore con forma-mentis recalcitrante.
Offrire la strada aperta alla legalizzazione, una strada senza scogli, senza barriere, nel rispetto della vita del singolo, dell’evoluzione generazionale, dei limiti e della legalità.
Il ciclo in essere da moltissimi anni, con strategia organizzativa non molto diversa dalla prima soluzione, ha predisposto le risultanze che conteggiamo adesso, con numeri sommersi di portata smisurata. La prima strada è già stata percorsa e ne raccogliamo i frutti inariditi.
Ma esiste anche un altro cammino, una luce migliore, al di la di ogni forma giuridica. Quella del buon senso.
La strada alternativa esiste. E sarebbe giunto il momento di iniziare a percorrerla nell’interesse della collettività e dell’evoluzione.
Di: Massimiliano Acerra.