Marcel Proust parlò della sua “Veduta di Delft” (1660.ca) come del “quadro più bello del mondo”, Théophile Thoré, critico francese, ne permise la riscoperta solo nel 1866 pubblicando un saggio sulla sua arte dopo anni di semi –oblio, ed oggi, nel settembre 2012, alle Scuderie del Quirinale e per la prima volta in Italia, per Johannes Vermeer è stata inaugurata una mostra che ci permette di conoscerlo a 360 gradi.
Ancora oggi sappiamo pochissimo di lui, le informazioni che lo riguardano sono scarse e lacunose, ma la documentazione in nostro possesso basta, insieme alle ricostruzioni scientifiche e storico artistiche, a restituirci la sua figura soprattutto in relazione al suo contesto storico, artistico e politico. Al museo infatti sono esposte anche opere di grandi maestri del tempo che ci offrono una panoramica generale e con cui Vermeer ebbe sicuramente scambi molto proficui; da questi seppe trarre spunti di bellezza, precisione e senso di eternità, punti fondamentali della sua poetica.

Nato a Delft nel 1632 ,cresciuto nella operosa e borghese Olanda, visse la sua vita nella locanda del padre prima ed in una semplice casa borghese dopo, a seguito del matrimonio con Catharina Bolnes. Visse quindi lontano dagli ambienti di nobile e ricca committenza, che caratterizzavano invece il panorama artistico italiano: i committenti infatti appartenevano alla borghesia operosa e talvolta mercantile, che con fiorenti ed intensi scambi commerciali diedero al paese un periodo di grande prosperità economica. Quest’ultima però è concomitante ma anche frutto di un momento politico particolarmente felice, poiché nel 1648 l’Olanda aveva finalmente raggiunto l’indipendenza dalla Spagna e aveva cosi potuto organizzarsi in una Repubblica, esito e forma politica di cui i cittadini andavano molto fieri. In un tale contesto da “età dell’oro”, i temi ricorrenti nei dipinti erano felici scene d’interni, fanciulle intente a svolgere attività virtuose come scrivere lettere o intrattenersi con la musica, scene di corteggiamento amoroso, ritratti di personaggi di spicco o di intere famiglie, spesso intrisi di messaggi morali sulla buona condotta da seguire e i comportamenti da evitare, in particolare per le fanciulle. Ma la particolarità della nostra “sfinge di Delft”, come lo definì Thoré per la sua sfuggente figura storica, non sta solo in questo. Sta nella sua capacità di imparare da artisti come Pieter de Hooch, da cui apprese la linearità degli spazi, da Gerrit Dou o da Carel Fabritius, allievo di Rembrandt dalla pennellata guizzante e di carattere, nella capacità di tesaurizzarne gli insegnamenti e di condensarli in un linguaggio dalla cifra assolutamente personale ed inconfondibile. È da notare inoltre la sua capacità di evolversi nel tempo maturando uno stile preciso nella definizione degli spazi, quasi all’italiana, nell’utilizzo di colori forti e decisi e nell’apertura dei volti all’introspezione psicologica. Già in uno dei suoi primi quadri, la “Santa Prassede” (1655, fig.1), possiamo osservare le caratteristiche della sua arte: nel quadro religioso, uno dei pochissimi di tale stampo da lui eseguiti, notiamo la figura della Santa che, col Crocifisso tra le mani, espunge il sangue dei martiri strizzandolo da una spugna e versandolo in una coppa di fattura medicea: la figura è stante e di grande presenza fisica, i colori sono accesi ed in forte evidenza e lo sguardo ci trasmette un senso di Pietas cristiana e di grande grazia unite nella forza della fede.

Giovane Donna seduta al virginale

Ma è dai quadri con soggetti di genere, quelli della maturità, che possiamo apprezzare in pieno l’artista che tutti conoscono. Osservando ad esempio la “Giovane donna seduta al virginale” (1670-1672 .ca,fig.2) la composizione è ormai divenuta asciutta e scarna; lo sguardo dello spettatore può posarsi sui pochi elementi del quadro, sulla luce che crea forti e taglienti chiaroscuri, fermarsi nell’indagare la psicologia della fanciulla, ricevendo di rimando una sensazione di grande precisione e coerenza interna, sentirsi immerso in quel piccolo mondo in cui, anche se a noi appare fisicamente e temporalmente lontano, in realtà possiamo identificarci e sentirlo presente.

Una nuova occasione di riflessione e conoscenza ultra mediterranea, da non perdere entro il 20 gennaio.

Alessia Caruso.

16 Marzo 2013

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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