In presenza degli sconvolgimenti che attualmente agitano i Paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente è opportuno soffermarsi sul significato di rivoluzione e, in particolar modo, sugli strumenti atti al suo compimento. Per rivoluzione s’intende un cambiamento radicale. Quando la rivoluzione si manifesta in un contesto politico, essa comporta un cambiamento radicale nelle istituzioni e nella forma di governo.

E’ ancora troppo presto per stabilire se, nei Paesi di cui sopra, si stia compiendo una rivoluzione in tal senso. Prescindendo dalla democraticità o meno dell’ordinamento vigente o del regime governante, è comunque per il momento istruttivo riflettere su come si effettua una rivoluzione di portata politica.

Fra gli strumenti idonei se ne possono annoverare tre prevalenti. Primo, il passaggio per i vari stadi che compongono lo spettro della conflittualità non convenzionale. Secondo, il colpo di Stato. Terzo, l’insurrezione popolare. Ciascuno ha le proprie caratteristiche e i propri limiti.

In ogni caso, la storia insegna che chi da vita al processo rivoluzionario raramente lo porta a termine quantomeno in conformità con i principi che l’hanno ispirato.

Il passaggio per gli stadi della conflittualità non convenzionale

La conflittualità non convenzionale comprende una serie di manifestazioni eversive e/o violente, cinque delle quali sono altresì inquadrabili come stadi nello spettro potenzialmente progressivo di questo tipo di conflittualità. Questi stadi sono l’agitazione sovversiva, il terrorismo, l’insorgenza, la guerra civile e la rivoluzione.

L’agitazione sovversiva, stadio iniziale, mira al raggiungimento di fini radical-rivoluzionari sostanzialmente ideologici o politici. Accomuna militanti protesi verso la resistenza passiva e la disubbidienza civile e veri e propri facinorosi (lo zoccolo duro), entrambi affiancati da compagni di strada armati puramente di buone intenzioni. Si avvale per lo più di mezzi illeciti, fra cui: la propaganda tendenziosa e la disinformazione; l’incitamento a non osservare le leggi o talune di esse; gli assembramenti e i cortei lesivi dell’ordinato svolgimento della vita sociale ed economica; l’occupazione d’immobili; i disordini di piazza. Il ricorso alla violenza generalmente si esaurisce nel danneggiamento o distruzione di beni pubblici e privati, ma spesso comporta anche lesioni alle persone. Abituali sono le minacce. Fra le tattiche utilizzate rientra l’inserimento di gruppuscoli in manifestazioni di varia specie e consistenza, inclusi raduni, comizi, e cortei, con l’intento di provocarne la degenerazione.

Il secondo stadio è quello del terrorismo, ovvero una forma di conflittualità non convenzionale complessivamente caratterizzata dalla violenza criminale, dal movente politico, politico-religioso o politico-sociale, dalle strutture e dinamiche clandestine e dall’azione di provenienza non statale con o senza l’apporto di uno Stato sostenitore. Sono l’uso sistematico della violenza e il vasto impiego di strutture e dinamiche clandestine che differenziano il terrorismo dall’agitazione sovversiva.

Il terzo stadio, l’insorgenza (termine derivante da quello anglo-americano insurgency non inteso come insurrezione, ma comunque legato al fenomeno di lotta insurrezionale), è talvolta raggiungibile, in un contesto rurale, anche senza il passaggio per lo stadio del terrorismo. L’insorgenza si distingue dal terrorismo in quanto comporta un controllo almeno parziale e temporaneo del territorio nazionale e della popolazione, mentre il terrorismo ne è totalmente privo. L’insorgenza, la cui azione complessiva si protrae nel tempo, mira al controllo del territorio e delle risorse di un Paese avvalendosi di organizzazioni politiche illegali e di forze armate irregolari impiegate contro le autorità costituite. Essa prevede scontri a fuoco con le forze armate regolari, ancorché generalmente a livelli non elevati e di breve durata, e comunque predicati sull’elemento della sorpresa. Rispetto all’agitazione sovversiva e al terrorismo, l’insorgenza richiede maggiore capacità organizzativa, pianificazione operativa e attitudine al comando, nonché superiore addestramento e più ampia disponibilità di risorse umane e materiali.

La guerra civile, quarto stadio eventuale, si verifica allorquando la popolazione di uno Stato si scinde in due o più parti contrapposte che si contendono con le armi il potere governativo; oppure, allorquando una ragguardevole parte della popolazione conduce una lotta armata contro l’autorità costituita. Si distingue, per intensità numerica e operativa, da tutti gli stadi precedenti: agitazione sovversiva, terrorismo e insorgenza.

Un’aggregazione eversiva che transita per gli stadi su considerati raggiunge il fine radical-rivoluzionario prepostosi all’origine, quindi lo stadio conclusivo, ovvero la rivoluzione. Da non dimenticare, però, che ciò che viene preannunciato come rivoluzione spesso si limita ad un mero mutamento delle leve del potere tanto nelle intenzioni quanto nei fatti.

Il fine preposto può in determinate circostanze essere raggiunto, altresì, a seguito dell’arrendevolezza dell’ordinamento attaccato. Questo spiega come l’agitazione sovversiva, il terrorismo, l’insorgenza e la guerra civile fungono da stadi in un conflitto non convenzionale o, alternativamente, svolgono individualmente una funzione puramente strumentale che non richiede una vittoria schiacciante in senso bellico.

Il colpo di Stato

Il colpo di Stato comporta la repentina (contrariamente agli stadi su descritti) e forzata rimozione di un governo ad opera di un gruppo di dimensioni numeriche limitate. Implicita è l’esistenza di una congiura, a prescindere dell’esito.

Caratteristiche del colpo di Stato o golpe, in deferenza alla terminologia spagnola considerato che l’America latina ha fatto scuola in questo campo, sono: la violenza o la minaccia della violenza, normalmente accompagnata da poco spargimento di sangue; l’esecuzione in alcune ore o pochi giorni; la sostituzione dei capi del governo con gli autori del colpo di Stato o persone da loro designate; l’esercizio di alcune forme di potere politico da parte dei congiurati già prima del colpo di Stato, con il risultato che, a seguito del golpe, una élite viene sostituita da un’altra; l’appoggio o l’impiego di reparti militari regolari.

Il colpo di Stato, dipendendo dai congiurati e dalle condizioni ambientali, mira ad uno o più dei seguenti fini: esercitare il potere governativo; introdurre o bloccare un regime progressista oppure uno conservatore; sostituire un regime relativamente moderato con uno maggiormente radicale; preservare l’ordine costituito o assicurare l’ordine pubblico. Sovente il colpo di Stato viene qualificato dai promotori e responsabili come rivoluzione, ma non va oltre il cambiamento nelle leve del potere governativo.

Affinché un colpo di Stato, ancorché effimero, si possa verificare sono collettivamente indispensabili vari fattori: circostanze favorevoli, la volontà di porlo in essere, un piano ben coordinato e mezzi adeguati.

L’insurrezione popolare

L’eventuale malessere di qualsivoglia popolazione volontariamente o involontariamente facente capo ad uno Stato è riconducibile a situazioni ambientali negative – o da essa ritenute tali – di natura storica, politica, sociale, economica o culturale che di volta in volta affliggono, individualmente o in concerto fra loro, diverse aree geopolitiche. Particolarmente incisivi sono determinati fattori oggettivi quali la povertà, la disoccupazione o sottoccupazione, lo squilibrio demografico, l’inadeguatezza delle infrastrutture e dei servizi sociali, la discriminazione etnica o religiosa, l’inefficienza burocratica, la corruzione istituzionale e la prepotenza o violenza di chi detiene il potere statale. Tutto ciò costituisce un humus idoneo per la confluenza di risentimenti da parte della popolazione, risentimenti che possono sfociare in dimostrazioni e proteste spontanee.

Dimostrazioni e proteste spontanee, ancorché oggi agevolate dai moderni mezzi di comunicazione e dai nuovi social media, tendono a raccogliere prevalentemente aggregazioni giovanili sicuramente portatrici di rimostranze, ma prive di maturità e di comunanza a livello di leadership, programma e ideologia e non accomunabili ad un vero e proprio movimento. Il limitato associarsi di altri settori della popolazione non è di per sé sufficiente per avviare un moto rivoluzionario.

Affinché la protesta spontanea si tramuti in insurrezione, sono necessari ulteriori ingredienti: il superamento di mere dimostrazioni simboliche; l’acquisizione di una vasta base popolare; la capacità di paralizzare o sconvolgere l’ordinato svolgimento della vita quotidiana quantomeno nel contesto urbano; un meccanismo unificatore di protestatari e contestatori eterogenei; la resistenza fisica, materiale e armata nei confronti della polizia e dell’eventuale intervento di truppe appartenenti a corpi militari.

Tuttavia, in assenza di una benevole neutralità da parte delle forze armate oppure del loro schieramento (o di una consistente maggioranza delle stesse) a favore degli insorti, è estremamente arduo che un’insurrezione popolare culmini in rivoluzione. Inoltre, tale fenomeno, qualora privo di una forte e coerente determinazione politica, è passibile di inserimento e sfruttamento da parte di chi – con differenti motivazioni politiche o anche politico-religiose tendenzialmente o specificamente radicali – dispone di capacità e mezzi adeguati.

L’auspicata rivoluzione può sconfinare nel caos con il rischio che sorgano scenari alternativi o concorsuali. Si può verificare un colpo di Stato con fini ben diversi da quello degli insorti. Al colpo di Stato può far seguito un contro colpo di Stato. Può parimenti scatenarsi la guerra civile nel caso di spaccatura in seno alle forze armate tra reparti fedeli al regime e reparti sostenitori dei rivoltosi. Può, altresì, interferire economicamente e/o militarmente uno Stato limitrofo con propri fini. Possono – ulteriore possibilità – insinuarsi minoranze radical-rivoluzionarie di varia matrice protese verso forme e stadi di conflittualità non convenzionale. Nel migliore dei casi, se la rivoluzione conduce a libere elezioni, può emergere un regime democratico, ma il risultato non è scontato, soprattutto in Paesi di creazione artificiale e di tradizioni non pluraliste.

Prof. Vittorfranco Pisano

Capo Dipartimento di Scienze Informative per la Sicurezza

U.P. UNINTESS – Università Internazionale di Scienze Sociali

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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