Secondo i filmetti polizieschi in TV, vi sono ormai laboratori scientifici di polizia a cui nulla sfugge; banche dati accessibili in pochi secondi, sono in grado di elaborate impronte, immagini, DNA, foto, targhe, vernici, vetri e di presentare sullo schermo la foto del ricercato.

La realtà si avvicina a questa situazione solo vagamente; molto più vagamente se consideriamo la situazione italiana.Non passa giorno in cui non si legga che la perizia sul DNA ha dovuto essere rifatta, che il sopralluogo sulla scena del delitto è stato ripetuto più volte, che la perizia sui residui di sparo è stata smentita al dibattimento, che il cadavere della vittima è stato riesumato per fare una secondo o terza autopsia. Vecchio vizio italico, indice più di stupidità che di capacità, di cui è rimasto emblematico il caso di Ettore Grandi, perfettamente innocente, che accusato nel 1938 di aver ucciso la moglie (che invece si era suicidata) venne assolto nel 1951 dopo anni di galera e ben 18 perizie medico-legali inconcludenti! Ora è chiaro che ogni volta che una perizia o un sopralluogo devono essere rifatti, significa che il perito era un incapace e che il giudice non era stato capace di scegliere un perito degno di tal nome.

In Italia abbiamo molto gravi problemi:

a) Non esiste un albo di periti a cui si acceda dimostrando le proprie capacità con titoli qualificati; negli albi dei tribunali vi entrano “cani e porci”, molti sono solo apparentemente dei professionisti, ma campano facendo i professori di scuola (ottima professione, ma non sono persone con esperienza); se l’albo venisse abolito si farebbe solo un’opera buona e si toglierebbe ai giudici l’illusione che i periti si possano scegliere alla cieca, aprendo un libro a caso, come per i responsi del Corano.

b) Non abbiamo un sistema di controllo della qualità del perito in sede giudiziale; negli USA la giuria impiega il suo tempo ad essere informata sulle qualifiche scientifiche di un perito e sul numero di perizie non contestate che ha fatto e poi crede al perito più qualificato. Comportamento corretto perché un giudice o una giuria non sono comunque in grado di valutare il contenuto scientifico della perizia, salvo errori logici macroscopici.

c) Il consulente di parte non giura di dire la verità e quindi il suo compito è di far vedere lucciole per lanterne ai giudici; spesso fa delle critiche fondatissime al perito di ufficio, ma il giudice darà sempre maggior fiducia al perito che ha giurato; il guaio è che questi di rado è in malafede e giura il falso, ma troppo spesso è un ignorante o un ciarlatano che finge di sapere con gran sicumera. E purtroppo i giudici adorano i periti e testimoni che ostentano grande certezza. E la chiave del successo di ogni ciarlato sulle persone ansiose ed esitanti.

d) I giudici italiani, sia della pubblica accusa che giudicanti, sono nel 99% dei casi del tutto impreparati a ragionare altro che in termini di diritto; essi hanno studiato per una decina di anni come secchioni del diritto, hanno scelto il diritto perché erano negati per la matematica e le scienze (il che è una pura scemenza perché la logica è la base di ogni studio che richieda ragionamento e se uno è logico solo con il diritto vuol dire che usa una falsa logica), non hanno mai letto un libro di medicina legale, di scienze forensi, di psichiatria, sul valore della testimonianza, sul modo di condurre un interrogatorio. Essi quindi in un processo finiscono troppo spesso frastornati “come l’asino fra i tamburi” ed a decidere in base a quel poco che hanno percepito. Basti dire quanto spesso un processo venga deciso in base alle affermazioni del noto appuntato Cacace che insegna al giudice che cosa siano le armi comuni e da guerra, come avvenga un incidente stradale, quali siano gli effetti della droga e perché il controllato tenesse un atteggiamento sospetto!

e) I giudici italiani, in conseguenza della situazione sub d), non sono in grado di scegliere periti capaci e in genere vanno a casaccio: chiedono all’amico medico, raccolgono le voci fra i cancellieri e la polizia, chiedono ai colleghi. Quest’ultima è la via migliore per scegliere quei periti che cercano di dare sempre ragione al giudice che li ha nominati e che poi a dibattimento fanno entrambi delle figure da nascondersi! Troppo spesso poi sono propensi a credere che basti essere colonnelli o generali per intendersi di attentati ed esplosivi. Storico è il caso degli accertamenti sull’attentato a Falcone per i quali vennero ricostruiti in poligono i 300 metri dell’autostrada di Capaci, con costi miliardari (in lire), per scoprire ciò che un esperto già poteva dire a vista con altrettanta buona approssimazione; il guaio fu che dopo aver ricostruito l’autostrada ci si accorse che un manufatto recente aveva un comportamento del tutto diverso da un manufatto costruito oltre vent’anni prima. Soldi buttati via!

In questo quadro va valutato il funzionamento dei centri istituzionali di polizia scientifica, vittime di un grave equivoco.

Nel corso delle indagini occorre raccogliere dati di fatto da utilizzare in futuro, qualunque sia la piega presa dalle indagini; guai a quegli investigatori che cercano dati i quali servano a confermare quelli che inizialmente sono solo dei sospetti o delle congetture. Come bene diceva Sherlock Holmes “È un errore gravissimo quello di formulare ipotesi prima di avere tutti gli indizi. Distorce il giudizio.” Inoltre portano a trascurare l’acquisizione di tutti i fatti utili, pro o contro il sospettato, nonché utili in seguito quando i primi sospetti si rivelano errati. E troppo spesso i laboratori lavorano perché non siano smentite le geniali trovate iniziali degli investigatori spinti da un’unica molla: poter dire, primi fra tutti, alla stampa che si è trovata la pista buona!

In questa prima fase ogni prova viene utilizzata come indizio, indipendentemente dal suo grado di certezza; un’impronta digitale sull’arma del delitto può servire ad individuare una persona che ha maneggiato l’arma del delitto, ma non è ancora la prova che egli l’abbia usata per uccidere la vittima. È fondamentale quindi che in questa fase l’esperto sia in grado di far comprendere all’investigatore il peso (cioè il valore statistico in termini di probabilità) del suo giudizio. È quindi corretto che in questi casi si facciano solo valutazioni probabilistiche in termini di “compatibilità” della prova.

I problemi sorgono quando la prova deve essere valutata dal giudice del dibattimento il quale ha bisogno di conoscere il grado di affidabilità scientifica delle conclusioni che gli vengono sottoposte. I laboratori istituzionali soffrono di gravi limiti:

a) sono laboratori che lavorano inizialmente per l’accusa e quindi per un soggetto parte del processo; in caso di contestazione dei loro accertamenti il giudice ha il dovere di considerarli di parte;

b) sono laboratori in grado di fare buoni accertamenti tecnici (nei limiti dei mezzi e dei fondi a loro disposizione!), ma non sempre sono all’altezza di fornire una dimostrazione scientifica inoppugnabile, sostenuta da preparazione, metodica e cultura da laboratorio universitario.

c) sono sommersi di lavoro, molto spesso superfluo e che potrebbe essere loro risparmiato da un giudice preparato.

È vero che certezze assolute non è in grado di darle neppure la scienza, ma essa, che usa il linguaggio della matematica, deve essere sempre in grado di dire quale è il margine di errore statisticamente prevedibile sulla base delle conoscenze attuali; quindi dà una certezza relativa, ma paragonabile con altre analoghe certezze.

Prendiamo il caso delle impronte digitali in cui si ha spesso a che fare con frammenti in cui solo quattro o 5 punti coincidono con l’impronta campione, il che viene considerata prova di identificazione sicura. È vero che cinque punti di per sé non dimostrano nulla, ma se essi si trovano nella stessa area dell’impronta, se essi sono alla stessa distanza reciproca, se formano una data configurazione, già le probabilità di coincidenze rispetto alla popolazione mondiale sono minime; le probabilità che nel giro di persone avente movente od occasione per commettere il delitto si verifica una simile coincidenze, sono trascurabili. In altre parole, si può immaginare che due persone nemiche della vittima abbiano entrambe cinque nei sul volto, ma non si riesce propri a credere che entrambe possano avere su una guancia cinque nei sistemati a forma di stella di David!

Nella fase del giudizio la prova deve resistere al vaglio dei canoni logici già ben illustrati da Galileo: l’accusa deve dimostrare, ad esempio, che il proiettile è sicuramente uscito dall’arma dell’imputato, che non può essere uscita da altri armi eguali, che non è un proiettile uscito da quell’arma ma riutilizzato con trucchi vari, che solo l’imputato può aver utilizzato l’arma, che quando il proiettile ha colpito la vittima questa era ancora viva, ecc., ecc.

Voi capite quale complesso di capacità devono avere i periti, come devono essere in grado di esaminare a fondo ogni aspetto del problema loro sottoposto, senza lacune logiche.

Tutto quanto detto sui periti rende chiaro come il problema sia globale; abbiamo pochi buoni periti, ma è inutile averli se non vi sono buoni giudici in grado di scegliere i periti validi e in grado di capire un linguaggio tecnico e di valutare la perizia sul piano della logica scientifica. Fino a che essi sono costretti ad accettare supinamente le conclusioni del loro perito e ad essere sordi ad ogni contestazione si finirà per usare le prove scientifiche solo come mezzo per indurre l’indagato a confessare e a risolvere poi il processo in base a testimonianze ben poco probanti, come si fa da qualche millennio

essori di scuola (ottima professione, ma non sono persone con esperienza); se l’albo venisse abolito si farebbe solo un’opera buona e si toglierebbe ai giudici l’illusione che i periti si possano scegliere alla cieca, aprendo un libro a caso, come per i responsi del Corano.

b) Non abbiamo un sistema di controllo della qualità del perito in sede giudiziale; negli USA la giuria impiega il suo tempo ad essere informata sulle qualifiche scientifiche di un perito e sul numero di perizie non contestate che ha fatto e poi crede al perito più qualificato. Comportamento corretto perché un giudice o una giuria non sono comunque in grado di valutare il contenuto scientifico della perizia, salvo errori logici macroscopici.

c) Il consulente di parte non giura di dire la verità e quindi il suo compito è di far vedere lucciole per lanterne ai giudici; spesso fa delle critiche fondatissime al perito di ufficio, ma il giudice darà sempre maggior fiducia al perito che ha giurato; il guaio è che questi di rado è in malafede e giura il falso, ma troppo spesso è un ignorante o un ciarlatano che finge di sapere con gran sicumera. E purtroppo i giudici adorano i periti e testimoni che ostentano grande certezza. E la chiave del successo di ogni ciarlato sulle persone ansiose ed esitanti.

d) I giudici italiani, sia della pubblica accusa che giudicanti, sono nel 99% dei casi del tutto impreparati a ragionare altro che in termini di diritto; essi hanno studiato per una decina di anni come secchioni del diritto, hanno scelto il diritto perché erano negati per la matematica e le scienze (il che è una pura scemenza perché la logica è la base di ogni studio che richieda ragionamento e se uno è logico solo con il diritto vuol dire che usa una falsa logica), non hanno mai letto un libro di medicina legale, di scienze forensi, di psichiatria, sul valore della testimonianza, sul modo di condurre un interrogatorio. Essi quindi in un processo finiscono troppo spesso frastornati “come l’asino fra i tamburi” ed a decidere in base a quel poco che hanno percepito. Basti dire quanto spesso un processo venga deciso in base alle affermazioni del noto appuntato Cacace che insegna al giudice che cosa siano le armi comuni e da guerra, come avvenga un incidente stradale, quali siano gli effetti della droga e perché il controllato tenesse un atteggiamento sospetto!

e) I giudici italiani, in conseguenza della situazione sub d), non sono in grado di scegliere periti capaci e in genere vanno a casaccio: chiedono all’amico medico, raccolgono le voci fra i cancellieri e la polizia, chiedono ai colleghi. Quest’ultima è la via migliore per scegliere quei periti che cercano di dare sempre ragione al giudice che li ha nominati e che poi a dibattimento fanno entrambi delle figure da nascondersi! Troppo spesso poi sono propensi a credere che basti essere colonnelli o generali per intendersi di attentati ed esplosivi. Storico è il caso degli accertamenti sull’attentato a Falcone per i quali vennero ricostruiti in poligono i 300 metri dell’autostrada di Capaci, con costi miliardari (in lire), per scoprire ciò che un esperto già poteva dire a vista con altrettanta buona approssimazione; il guaio fu che dopo aver ricostruito l’autostrada ci si accorse che un manufatto recente aveva un comportamento del tutto diverso da un manufatto costruito oltre vent’anni prima. Soldi buttati via!

In questo quadro va valutato il funzionamento dei centri istituzionali di polizia scientifica, vittime di un grave equivoco.

Nel corso delle indagini occorre raccogliere dati di fatto da utilizzare in futuro, qualunque sia la piega presa dalle indagini; guai a quegli investigatori che cercano dati i quali servano a confermare quelli che inizialmente sono solo dei sospetti o delle congetture. Come bene diceva Sherlock Holmes “È un errore gravissimo quello di formulare ipotesi prima di avere tutti gli indizi. Distorce il giudizio.” Inoltre portano a trascurare l’acquisizione di tutti i fatti utili, pro o contro il sospettato, nonché utili in seguito quando i primi sospetti si rivelano errati. E troppo spesso i laboratori lavorano perché non siano smentite le geniali trovate iniziali degli investigatori spinti da un’unica molla: poter dire, primi fra tutti, alla stampa che si è trovata la pista buona!

In questa prima fase ogni prova viene utilizzata come indizio, indipendentemente dal suo grado di certezza; un’impronta digitale sull’arma del delitto può servire ad individuare una persona che ha maneggiato l’arma del delitto, ma non è ancora la prova che egli l’abbia usata per uccidere la vittima. È fondamentale quindi che in questa fase l’esperto sia in grado di far comprendere all’investigatore il peso (cioè il valore statistico in termini di probabilità) del suo giudizio. È quindi corretto che in questi casi si facciano solo valutazioni probabilistiche in termini di “compatibilità” della prova.

I problemi sorgono quando la prova deve essere valutata dal giudice del dibattimento il quale ha bisogno di conoscere il grado di affidabilità scientifica delle conclusioni che gli vengono sottoposte. I laboratori istituzionali soffrono di gravi limiti:

a) sono laboratori che lavorano inizialmente per l’accusa e quindi per un soggetto parte del processo; in caso di contestazione dei loro accertamenti il giudice ha il dovere di considerarli di parte;

b) sono laboratori in grado di fare buoni accertamenti tecnici (nei limiti dei mezzi e dei fondi a loro disposizione!), ma non sempre sono all’altezza di fornire una dimostrazione scientifica inoppugnabile, sostenuta da preparazione, metodica e cultura da laboratorio universitario.

c) sono sommersi di lavoro, molto spesso superfluo e che potrebbe essere loro risparmiato da un giudice preparato.

È vero che certezze assolute non è in grado di darle neppure la scienza, ma essa, che usa il linguaggio della matematica, deve essere sempre in grado di dire quale è il margine di errore statisticamente prevedibile sulla base delle conoscenze attuali; quindi dà una certezza relativa, ma paragonabile con altre analoghe certezze.

Prendiamo il caso delle impronte digitali in cui si ha spesso a che fare con frammenti in cui solo quattro o 5 punti coincidono con l’impronta campione, il che viene considerata prova di identificazione sicura. È vero che cinque punti di per sé non dimostrano nulla, ma se essi si trovano nella stessa area dell’impronta, se essi sono alla stessa distanza reciproca, se formano una data configurazione, già le probabilità di coincidenze rispetto alla popolazione mondiale sono minime; le probabilità che nel giro di persone avente movente od occasione per commettere il delitto si verifica una simile coincidenze, sono trascurabili. In altre parole, si può immaginare che due persone nemiche della vittima abbiano entrambe cinque nei sul volto, ma non si riesce propri a credere che entrambe possano avere su una guancia cinque nei sistemati a forma di stella di David!

Nella fase del giudizio la prova deve resistere al vaglio dei canoni logici già ben illustrati da Galileo: l’accusa deve dimostrare, ad esempio, che il proiettile è sicuramente uscito dall’arma dell’imputato, che non può essere uscita da altri armi eguali, che non è un proiettile uscito da quell’arma ma riutilizzato con trucchi vari, che solo l’imputato può aver utilizzato l’arma, che quando il proiettile ha colpito la vittima questa era ancora viva, ecc., ecc.

Voi capite quale complesso di capacità devono avere i periti, come devono essere in grado di esaminare a fondo ogni aspetto del problema loro sottoposto, senza lacune logiche.

Tutto quanto detto sui periti rende chiaro come il problema sia globale; abbiamo pochi buoni periti, ma è inutile averli se non vi sono buoni giudici in grado di scegliere i periti validi e in grado di capire un linguaggio tecnico e di valutare la perizia sul piano della logica scientifica. Fino a che essi sono costretti ad accettare supinamente le conclusioni del loro perito e ad essere sordi ad ogni contestazione si finirà per usare le prove scientifiche solo come mezzo per indurre l’indagato a confessare e a risolvere poi il processo in base a testimonianze ben poco probanti, come si fa da qualche millennio

di Edoardo Mori

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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