Wer fremde Sprachen nicht kennt, weiß nichts von seiner eigenen

(Chi non conosce le lingue straniere non sa nulla della sua)

J. W. Goethe

“[…] My mother who cry in the TV when …errrr…… shish… she thing with the… the… the… she felt with the… the… the… Berlin walls destroyed by the people. […] Because the idea without market in the commercial er… feel mmm… my structure the… the… the… result are not good. But for country this is also the representation of possibility. […] He [Meucci] was mmm… a walker, so invent the… the… the… the telephone to speaking about in the theatre. A genius! […] He wasn’t able to use the copyright, license, come si dice brevetto??? License, license in 18 errrr… […] Adesso, come spesso accade in questi momenti, tocca al polit*, now is the time to to to eat, to to lunch, and the for Italian politician is absolutely crucial today. Now is the time of lunch!”[1]

In questi termini si pronunciava il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel suo public speaking tenutosi a Venezia tra il 07 e il 12 luglio 2014 in occasione del Digital Venice, evento riservato dal Governo italiano all’innovazione digitale come chiave per uno sviluppo economico sostenibile, e mezzo e strumento per favorire l’occupazione. Un discorso dai contorni non ben definiti e non di certo motivo di orgoglio per l’Italia del Semestre europeo (1° luglio – 31 dicembre 2014). Per “Semestre europeo” si intende un ciclo di procedure finalizzate alla valutazione dei bilanci e delle prospettive economiche relative ai singoli governi dell’Unione Europea. La norma, approvata dal Consiglio europeo dei Ministri delle Finanze (ECOFIN) nel 2010, e entrata in vigore a partire dal 2011, stabilisce che la Presidenza è esercitata a turno da ciascuno Stato membro per la durata di sei mesi. Con Renzi tutte le premesse avrebbero fatto pensare e sperare che la cura per i dettagli dovesse essere una priorità, ma ciò che ha attirato sull’evento visibilità (negativa) è stato il contributo stesso del Presidente del Consiglio.

Mentre gli anglicismi sovrabbondano in tutti i settori del sapere, sempre più parte integrante del vocabolario comune, la lingua inglese, consolidata oramai nel suo ruolo di global language of communication, e per questo, indispensabile bagaglio culturale di qualsiasi individuo che desideri affacciarsi alle relativamente nuove professionalità del millennio, pare continuamente attraversare fasi in cui il confine tra uso, abuso e misuso risulta continuamente travalicato. Monti dava sfoggio di un inglese invidiabile, presumibilmente per la sua formazione economico-finanziaria di respiro internazionale; Berlusconi, dal canto suo, se la cavava dignitosamente per la medesima e probabile motivazione; ma come giustificare un simile “slancio” linguistico da parte di Renzi, espressione delle giovani generazioni emergenti?

Basti pensare che non di rado capita di imbattersi, quando in rete, in inserzioni simili alla seguente:

ADECCO ITALIA E ADECCO TRAINING ALLA SOCIAL MEDIA WEEK DI ROMA
Il 24 settembre, un incontro per parlare di Social HR e uno spazio dedicato al digital CV check[2]

Adecco Italia torna alla Social Media Week con l’incontro “Cercare lavoro e talenti tra selfie, social ed employer branding: come cambiano le HR nell’era digitale?” in cui verranno presentati anche i dati della nuova survey su Social Recruiting e Digital Reputation. A disposizione, inoltre, anche un corner dedicato al Digital CV.

Da una sommaria analisi risultano ben 23 anglicismi su un totale di 80 parole, vale a dire circa il 30%, e la percentuale di anglicismi aumenterebbe, non considerando le congiunzioni e le preposizioni. Un giovane italiano alla ricerca di una job position sarebbe in grado di comprendere un tale annuncio? Data la semplicità del caso, è probabile che ne sarebbe capace, ma le statistiche continuano a rivelare dati preoccupanti sulle competenze che gli italiani dimostrano di possedere quando si trovano alle prese con la lingua inglese. Sebbene indispensabile e fortemente pubblicizzata, secondo le statistiche 2013 della Education First (EF) – azienda che si occupa dello studio delle lingue straniere –, per tantissimi italiani una solida conoscenza dell’inglese rimane ancora un ostacolo insormontabile. All’interno dell’“English Proficiency Index” (EPI), l’Italia risulta infatti 32^ in una lista di 60 Paesi la cui lingua madre non è l’inglese, rientrando in tal modo nella categoria dei Paesi con uno scarso livello di conoscenza della lingua (low proficiency)[3]. L’Italia sarebbe pertanto l’unico Paese europeo, assieme alla Francia che si attesterebbe alla 35^ posizione, a mantenere questo sconfortante primato con un trend di cambiamento tendenzialmente negativo rispetto alla precedente edizione dell’EPI del 2012, dove si attestava 24^ con una moderate proficiency in un indice di 54 Paesi censiti. A ciò si aggiunge quanto rilevato da Alessio Pisanò de Il Fatto Quotidiano: “Sarà un semestre low cost”[4]. Secondo quanto riportato dal giornalista, “per l’intero semestre italiano verranno spesi circa 68 milioni di euro. Pochi se si considera che la sola Lettonia ne spese 100, la Polonia 110 e la disastrata Grecia 55. I tagli hanno riguardato prima di tutto la scelta linguistica: per adesso il sito dedicato è solo in italiano e in inglese; una scelta in fondo ragionevole, ma bizzarra se fatta da un Paese, l’Italia, che da sempre a Bruxelles si batte per il multilinguismo europeo. Basti pensare alla “donchisciottiana” battaglia contro il brevetto unico europeo “solo” in inglese, francese e tedesco. Per lo stesso motivo si è deciso di tenere i vertici internazionali in Italia a Milano invece che a Roma, scelta che si propone di favorire, tra l’altro, la volata verso l’Expo 2015” (ibid.).

Il 26 settembre 2014, in occasione della Giornata Europea delle Lingue, il quotidiano britannico The Guardian riportava che, in base ai recenti indicatori dell’Eurobarometro sulla conoscenza di una seconda lingua in ambito UE (laddove la seconda lingua non fosse ufficiale), appena oltre la metà degli europei (54%), è in grado di sostenere una conversazione in almeno una lingua straniera, un quarto (25%) è in grado di parlare almeno due lingue straniere e 1 su 10 (10%) mostra di avere dimestichezza con tre lingue straniere. Le cinque lingue straniere più parlate rimangono l’inglese (38%), il francese (12%), il tedesco (11%), lo spagnolo (7%) e il russo (5%). Quasi tutti in Lussemburgo (98%), Lettonia (95%), Paesi Bassi (94%), Malta (93%), Slovenia e Lituania (92% ciascuno) e Svezia (91%) sono in grado di parlare almeno una seconda lingua oltre alla propria lingua madre. Anche in questo caso, l’Italia si attesta tra i Paesi con la più scarsa conoscenza di una qualsiasi lingua straniera (62%), in concomitanza con Ungheria (65%), Gran Bretagna e Portogallo (61% ciascuno) e Irlanda (60%)[5].

(foto di Michele Tantussi)

Allo stato dei fatti, quali potrebbero essere per l’Italia i catalizzatori di un progresso in ambito linguistico? Secondo la EF, l’immigrazione in Italia è aumentata del 283% nell’ultima decade, aspetto che dovrebbe inevitabilmente contribuire all’apertura del Paese verso il mondo. Il sistema di istruzione sta affannosamente tentando di affrontare le esigenze di un mercato del lavoro completamente globalizzato. Nel frattempo, nel 2004 l’inglese è stato introdotto come disciplina obbligatoria per tutti gli studenti a partire dall’età di sette anni, e le recenti riforme stanno cercando di ammodernare il sistema educativo e di fronteggiare il livello relativamente scarso di istruzione in inglese. Ancor prima, un buon inizio sembrò l’esperienza del progetto sperimentale “Hocus & Lotus”, finalizzato all’insegnamento dell’inglese nella scuola dell’infanzia e alle elementari. Esso aveva riportato ottimi risultati con un’adesione del 50% da parte degli istituti, ma l’intervento ‘salvifico’ della politica morattiana ne ridimensionò gli effetti positivi, con una riduzione – e non un incremento, come pubblicizzato – delle ore d’insegnamento.

Di recente la scuola è stata completamente riorganizzata e la formazione iniziale degli insegnanti e i programmi di aggiornamento (Lifelong Learning Programmes – LLP) ridefiniti. Queste riforme hanno dunque determinato una revisione totale del sistema nazionale di valutazione della scuola. Dal 2012, per favorire l’internazionalizzazione e l’occupabilità, ad esempio, un numero crescente di atenei italiani ha incluso nella propria offerta formativa innumerevoli corsi di laurea e post-lauream in lingua inglese[6]. Nella scuola superiore, l’insegnamento di un’altra materia in inglese è diventato obbligatorio all’ultimo anno in tutti gli indirizzi di studio a partire dal 2014 (Content and Language Integrated Learning – CLIL), sebbene la scarsa conoscenza della lingua inglese diffusa tra gli insegnanti si sia rivelata un grosso ostacolo per l’attuazione di tale programma. Quest’anno due mila insegnanti delle scuole superiori italiane hanno preso parte a corsi universitari per migliorare il loro inglese e apprendere nuove metodologie di insegnamento. Nonostante tutto, il Rapporto OCSE 2014 “Education at a glance”, strumento essenziale per chi lavora nel campo dell’istruzione, tanto per i decisori pubblici, quanto per chi si occupa a vario titolo di programmare e organizzare l’offerta formativa di scuole e atenei, ha offerto un bilancio critico del sistema educativo italiano. Uno “sguardo sull’educazione” che, attraverso una serie di indicatori, ha analizzato e confrontato i sistemi educativi di 45 Paesi del mondo. Secondo Massimo Castagnaro dell’ANVUR, Tommaso Agasisti del MIP e Renata Viganò dell’Università Cattolica di Milano, in Italia servono con urgenza nuove politiche e investimenti: lo slogan è che “l’educazione costa, l’ignoranza di più”[7]. È palese che l’Italia debba necessariamente compiere un salto di qualità verso l’innovazione per essere anch’essa un’economia maggiormente basata sulla conoscenza (knowledge-based economy). La ricerca della EF dimostra che le economie basate sulla conoscenza con un alto grado di integrazione internazionale si basano su una forza lavoro dalle consolidate competenze nella lingua inglese in particolare, aspetto che consente di poter collaborare con partner internazionali. Se l’Italia riuscisse a realizzare una politica linguistica significativa e riuscisse con le sue riforme a convincere i suoi giovani emigrati più qualificati a rientrare dall’estero portando con sé l’esperienza professionale acquisita e le loro competenze culturali, tutto il Paese godrebbe di benefici certi.

Nel frattempo, non mancano le manifestazioni di carattere linguistico-culturale. Il 27 e il 28 settembre 2014 si è tenuto a Firenze il XII Convegno EFNIL[8], che ha rappresentato un evento di particolare rilevanza non solo per il tema affrontato (quest’anno, “Le lingue dell’insegnamento universitario e della ricerca scientifica”), ma anche per il ruolo dell’Italia nella Presidenza di turno dell’UE. Infatti, nei giorni 25 e 26 settembre immediatamente precedenti il Convegno, per la Giornata Europea delle Lingue, la Commissione europea – Direzione generale Istruzione e Cultura, in collaborazione con la Direzione generale della Traduzione e la Direzione generale Interpretazione e con il sostegno del Comune di Firenze e dell’Accademia della Crusca[9] –, ha organizzato un convegno dal significativo titolo “L’importanza delle lingue: Il multilinguismo visto da una prospettiva europea e nazionale”. Esso si è incentrato sulle priorità nel campo dell’apprendimento delle lingue, mettendo in relazione la necessità di sviluppare le competenze linguistiche con le principali iniziative strategiche promosse dalla Direzione generale Istruzione e Cultura della Commissione europea. Il programma dell’evento, trattando diversi temi collegati al multilinguismo in dimensione sia nazionale che europea, ha poi posto l’accento sull’importanza delle abilità e delle competenze linguistiche in ambito professionale[10].

È indubbio che occorrerà un effettivo impegno comune a più livelli per evitare in futuro che l’Italia continui a ritrovarsi in fondo alle classiche europee e per evitare altresì situazioni esemplari come quella proposta da una simile indicazione su un traghetto in Liguria:

*Antonio Taglialatela è docente a contratto di lingua inglese all’Università degli Studi della Basilicata.

[1] Estratto del discorso di Matteo Renzi al Digital Venice (08.07.2014). Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=6FtSECM_1mU (visitato il 05.09.2014).

[2] Fonte: http://www.adecco.it/news-e-pr/adecco-italia-alla-social-media-week-roma-24-settembre.aspx (visitato il 07.09.2014).

[3] Education First – English Proficiency Index (EF-EPI): http://www.ef.edu/epi/ (visitato il 30.09.2014).

[4] Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/20/semestre-ue-fra-poco-tocca-allitalia-ma-e-gia-in-ritardo-su-programma-sito-e-visite/1034093/ (visitato il 26.09.2014).

[5] Fonte: http://www.theguardian.com/news/datablog/2014/sep/26/europeans-multiple-languages-uk-ireland (visitato il 26.09.2014).

[6] La Fondazione CRUI, a questo proposito, ha condotto un’indagine dove ha evidenzato i corsi erogati in inglese dalle università italiane, considerando tutti gli ambiti disciplinari: da quello scientifico a quello artistico, fino a giungere a quello giuridico. Ciò che è emerso è risultato sorprendentemente positivo: già nel 2012 circa il 70% degli atenei presentava un’offerta formativa comprendente corsi in lingua inglese, con in vetta le Università di Milano e Trieste, e con una tendenza all’aumento di tali corsi su base annuale.

[7] Fonte: http://www.cattolicanews.it/speciali-l-educazione-costa-l-ignoranza-di-piu (visitato il 30.09.2014).

[8] L’EFNIL (European Federation of National Institutions for Language) è un’istituzione linguistica fondata a Stoccolma il 14 ottobre 2003 dai rappresentanti di alcune istituzioni europee fra cui, per l’Italia, l’Accademia della Crusca e l’Istituto Opera del Vocabolario Italiano del Consiglio Nazionale delle Ricerche (OVI-CNR), entrambi con sede a Firenze, e offre alle 37 istituzioni dei 30 Paesi europei che ne fanno parte un forum nel quale raccogliere, confrontare e far circolare informazioni sulle loro attività, sull’uso delle lingue e sulla politica linguistica all’interno dell’UE.

[9] L’Accademia della Crusca ha sempre svolto un ruolo attivo per la promozione del multilinguismo anche prima della formale costituzione dell’EFNIL. Già nel 2001 ospitò nella propria sede a Firenze un convegno che portò all’adozione delle “Raccomandazioni di Mannheim e Firenze per le lingue ufficiali d’Europa”, documento alla base della costituzione dell’EFNIL nel 2003 (27/09/2014 – ITL/ITNET).

[10] Fonte: http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=24643 (visitato il 23.09.2014).

Roma, 01/11/2014

di Antonio Taglialatela*

 

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Redazione Nazionale

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