La domanda è sempre la stessa: come uscire dalla crisi economica? Il ciclo che il pianeta sta vivendo rientra in un normale percorso di periodici alti e bassi che la strutturazione economica comporta. Probabilmente il peso maggiore è di natura finanziaria e monetaria, ma tutti sono d’accordo nel credere che i bassi indici borsistici, al di là dei complicati calcoli matematici, sono dovuti in larga parte a questioni collegate con la psicologia della massa investitrice. L’equazione è: la maggior parte degli investitori rischia, tutti rischiano, l’economia riparte.

Ma come correggere gli squilibri? Il profitto è senz’altro un motore dell’economia, ma spesso è frutto di speculazione senza produzione concreta. Ritengo che innanzitutto lo Stato debba dotarsi di strumenti ed enti capaci di realizzare una efficace programmazione, in quanto risulta insufficiente quella pianificazione indicativa finora demandata ad organi politici e tecnici. Essa va concertata con tutte le componenti economiche, lavorative, imprenditoriali, nessuna esclusa (per evitare di sacrificare le piccole imprese e le comunità meno difese), ricordando sempre la funzione sociale sia del lavoro che della proprietà.

Dunque il lavoro come dovere sociale. Esso va associato all’impegno, alla capacità specifica, alla assunzione di responsabilità, nella certezza di una reale meritocrazia.

Riguardo alla riforma sociale del rischio-impresa, sembra che sia arrivato il momento della cogestione, da applicare inizialmente con cautela ma anche con grande determinazione. Il ministro Sacconi, in un recente discorso davanti alla Confindustria, ha tirato fuori questa parolina magica (che ha vari sinonimi), chiamando su di essa a raccolta le autorità interessate, le associazioni dei lavoratori e i corpi sociali. A proposito di questi ultimi, sarebbe davvero il caso che tali categorie, tanto vituperate, si mettessero così al servizio del tessuto organico della società, evitando ulteriori difese settoriali, quando non siano individuali o “dinastiche”!.

Il percorso seguito dalle organizzazioni sindacali nel dopoguerra, quando si è creata fra i lavoratori una coscienza politica sulle orme dei dualismi di stampo anglosassone (lib-lab), ha avuto una emancipazione graduale. Si è passati dai veti e rivendicazioni collegati a forti legami politici, passando per collaborazioni pelose, fino ai “sacrifici per tutti” e all’accusa di spartizione dei poteri. Personalmente da sempre ritengo necessario l’insegnamento delle basi dell’ economia nelle scuole, così da dare ai futuri lavoratori fondamenti nozionistici certi in questa materia. In effetti tutti devono sapere che un bene oggi apparentemente perduto può rientrare domani con gli interessi, se la macchina produttiva è davvero oleata ed efficace; ma si devono conoscere anche tutti i casi e i modi in cui ciò si realizza. Del resto vi sono cose che i manuali di economia non dicono; ad esempio l’esistenza di una nuova borghesia autoreferenziale promossa dalla classe politica, che lega uomini selezionati attraverso meccanismi elettorali e pseudoamministrativi, e che attira e gestisce fondi pubblici più o meno clientelari.

Ora l’occasione è rappresentata proprio da questa forma congestionale di democrazia diretta, in fabbrica, nel terziario, dovunque, rappresentata da un nuovo modo di intendere i rapporti di forza tra capitale e lavoro.

L’intermediazione di organi di controllo collettivistici basati sull’aggregazione rappresentativa di forze-lavoro non sia più il perno di un’antitesi fra capitale e lavoratori stessi, ma un valido aiuto per un superamento dei contrasti e un supporto fondamentale per arrivare ai compromessi, laddove per compromesso si intende la perdita di pezzi di benefici da parte di tutti nella prospettiva di una certa e perseguita programmazione, assolutamente condivisa. Fermo restando che le lotte sindacali antipadronali hanno senz’altro avuto una loro ragione d’essere in altri tempi, per motivi troppo lunghi da elencare ma comunque collegati con un clima passato (che qualcuno vuole, spesso surrettiziamente, mantenere), ritengo oggi necessario uno sforzo ulteriore di chiarimento e la formulazione di collaborative iniziative che portino all’elaborazione comune di definitive normative. Tali intese non devono prescindere dall’eliminazione dei contrasti che nascono da interessi diversi nel mondo economico: agricoltura e industria, credito e produzione, produzione e commercio.

In definitiva la strategia sindacale oggi si è affinata al punto di stabilire le sue posizioni nell’apparato produttivo del Paese e nell’ambito politico. Il paesaggio storico attuale dunque si arricchisce di una nuova opportunità, quella della partecipazione alla gestione programmatica ed economica del sistema produttivo nazionale da parte delle forze-lavoro tramite le proprie rappresentanze, con termini normativi da stabilire.

Da qui il passo sarà breve per incardinare le personalità tecniche più eminenti nelle assemblee istituzionali democratiche. Si tratterebbe di qualcosa di più di un esperimento o di un puro atto di coraggio, bensì rappresenterebbe una autentica proiezione nel futuro. Finalmente si realizza un progetto che sta a cuore a molti e che è stato perfettamente sintetizzato dal noto slogan “il lavoro soggetto dell’economia”.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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