La mattina del 16 marzo 1978, giorno in cui Giulio Andreotti presentava il suo governo in Parlamento per ottenere la fiducia, l’auto che trasportava Aldo Moro venne bloccata in via Mario Fani a Roma da un nucleo armato delle Brigate Rosse.
In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti uccisero i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro, Oreste Leonardi e Domenico Ricci, i tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.

Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto “Tribunale del Popolo” e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu ucciso. Il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista e da Piazza del Gesù sede nazionale della Democrazia Cristiana.

La probabile allusione alla P2, i cui affiliati controllavano i punti chiave dello Stato, fu avvalorata soltanto in seguito dopo il ritrovamento della lista degli iscritti, il 17 marzo 1981. In questa lista erano presenti diversi personaggi che ricoprivano ruoli importanti nelle istituzioni durante il sequestro Moro e le successive indagini, alcuni promossi ai loro incarichi da pochi mesi o durante il sequestro stesso: tra questi il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, il prefetto Walter Pelosi, direttore del CESIS, il generale Giulio Grassini del SISDE, il generale dei Carabinieri Giuseppe Siracusano, responsabile per quello che riguardava i posti di blocco effettuati nella capitale durante le indagini, che vennero considerati ben poco efficaci dalla successiva Commissione Moro.

Altra evenienza dubbia è quello relativa alla presenza del colonnello Camillo Guglielmi del Sismi nelle vicinanze dell’agguato durante l’azione delle BR. La notizia della sua presenza in Via Stresa, nascosta inizialmente, verrà rivelata soltanto nel 1991 durante le indagini della Commissione Stragi, anche a seguito di una relazione presentata dal deputato di Democrazia Proletaria Luigi Cipriani che riferiva di alcune testimonianze sul caso Moro e sul ruolo di Guglielmi come osservatore, da parte di un’ex agente del SISMI.

Guglielmi affermerà di essere stato realmente sul posto, ma perché invitato a pranzo da un collega che abitava in zona. Il collega, pur confermando il fatto che Guglielmi si fosse presentato a casa sua, negò che il suo arrivo fosse previsto. Secondo alcune fonti Guglielmi avrebbe anche fatto parte di Gladio, tesi però fermamente smentita dallo stesso colonnello. Nel giugno 2008 il terrorista venezuelano Ilich Ramírez Sánchez, detto Carlos, in un’intervista all’agenzia di stampa ANSA, dichiarò che alcuni uomini del SISMI, guidati dal colonnello Stefano Giovannone, nella sera tra l’8 e il 9 maggio 1978, all’aeroporto di Beirut, tentarono un accordo per far liberare lo statista: questo accordo avrebbe previsto la consegna di alcuni brigatisti incarcerati ad uomini del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina sul territorio di un paese arabo.

Secondo Carlos l’accordo, che vedeva i vertici del SISMI contrari e violava la direttiva del governo di non trattare, fallì perché l’informazione trapelò dall’ufficio politico dell’OLP probabilmente a causa di Bassam Abu Sharif e da lì ne vennero informati i servizi di un paese della NATO che ne informò a suo volta il SISMI. Il giorno dopo Moro venne ucciso. Sempre secondo il terrorista venezuelano gli ufficiali che avevano effettuato questo tentativo vennero allontanati dai servizi, costretti alle dimissioni o al pensionamento.

Altre fonti rivelarono che alcune azioni terroristiche delle Brigate Rosse erano state richieste dal KGB, il servizio segreto russo. Tra queste vi è il senatore Paolo Guzzanti, presidente per 2 anni della Commissione parlamentare d’inchiesta sul dossier Mitrokhin. Un altro episodio quantomeno dubbio riguardò l’interesse di uno strano personaggio: nel novembre 1977 Sergej Sokolov, studente presso l’Università La Sapienza di Roma, avvicinò Moro per chiedergli di frequentare le sue lezioni. Nelle settimane successive, fece domande sempre più indiscrete agli assistenti circa l’auto e la scorta, tanto da suscitare anche qualche sospetto in Moro che raccomandò al suo assistente di rispondere vagamente.

Nel 1999, in seguito allo scoppio dello scandalo Mitrokhin, si sospetterà che Sergej Sokolov fosse in realtà Sergey Fedorovich Sokolov, ufficiale del Kgb, richiamato in patria nel 1982. Sergej Sokolov incontrò l’ultima volta Moro la mattina del 15 marzo. Da allora nessuno lo incontrò più. Nel maggio 1979 i brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda, due degli ideatori del sequestro, vennero arrestati a Roma nell’appartamento di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, dove venne rinvenuta la mitraglietta “Skorpion”, usata da Moretti per assassinare Moro. Nel rapporto si parla di Giorgio Conforto come agente del KGB, nome in codice “Dario”, capo rete dei servizi strategici del Patto di Varsavia ma si dice anche che sia lui che la figlia rimasero estranei alle attività dei due terroristi.

L’ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività, utili per individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA.

Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante un’audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici, il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell’Europa da parte sovietica, gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro. Nel 1973, quando lo statista creò un’alleanza stretta col PCI che prese il nome di compromesso storico, fu il segretario di stato americano Henry Kissinger ad ammonire severamente Moro della “pericolosità” di tale legame col PCI.

Nel marzo 1976 le minacce si fecero più esplicite. Nell’occasione, egli fu affrontato da un alto personaggio americano che lo apostrofò duramente. Di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta, Eleonora Moro rievocherà così l’episodio: “È una delle pochissime volte in cui mio marito mi ha riferito con precisione che cosa gli avevano detto, senza svelarmi il nome della persona… Adesso provo a ripeterla come la ricordo: ‘Onorevole lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere’ “. Si presume che fosse stato nuovamente Henry Kissinger.

Altra questione riguarda il falso comunicato n. 7 delle BR, in cui si annunciava la morte dello statista e la sua sepoltura presso il Lago della Duchessa, nel reatino. Autore il falsario romano Antonio Chichiarelli, legato alla Banda della Magliana e successivamente autore di altri falsi comunicati delle Brigate Rosse, ucciso nel settembre 1984 in circostanze misteriose, quando ancora il suo legame non era stato del tutto accertato. È da notare che lo stesso Chichiarelli parlò del comunicato a diverse persone, tra cui Luciano Dal Bello, informatore dei carabinieri e del Sisde, che riferì la questione ad un maresciallo dei carabinieri, senza che seguissero indagini mirate.

Il comunicato venne diffuso lo stesso giorno, il 18 aprile 1978, in cui le forze dell’ordine scoprirono a Roma l’appartamento in via Gradoli 96 usato come covo delle Brigate Rosse: la scoperta avvenuta a causa di una perdita d’acqua per cui erano stati chiamati i Vigili del fuoco, si rivelerà essere causata invece da un rubinetto della doccia lasciato aperto, appoggiato su una scopa, quasi a voler far scoprire il covo, che era usato abitualmente dal brigatista Mario Moretti il quale avrà notizia della scoperta dai media e non vi farà ritorno.

Moretti aveva affittato l’appartamento nel 1975, con l’identità dell'”ingegner Mario Borghi”, e da allora l’aveva usato abitualmente. E’ stata inoltre prospettata la possibilità che elementi della ‘ndrangheta fossero coinvolti nell’agguato di via Fani. È quanto emergerebbe da una telefonata tra il segretario di Moro Sereno Freato e Benito Cazora, deputato della DC; quest’ultimo era entrato in contatto con un certo “Rocco”, poi identificato in Salvatore Varone, il quale aveva dichiarato di essere a conoscenza, tramite la malavita, dell’ubicazione della prigione di Moro e che egli si offriva di rivelare in cambio di favori che alleviassero le norme di confino alle quali era sottoposto. Il 18 aprile Varone ritornò in contatto con Cazora e richiese una foto originale di via Fani in cui egli riteneva potesse essere identificato un suo parente.

Cazora ne parlò quindi a Freato ma non riuscì a ottenere nessuna foto; non è chiaro a quale foto si riferisse. Inoltre Cazora non riuscì neppure a ottenere per Varone i benefici richiesti ottenendo un secco rifiuto dai funzionari ministeriali, da Giuseppe Pisanu e dal ministro Cossiga. Nonostante questo Varone diede alcune indicazioni sulla possibile prigione di Moro che però si rivelarono completamente inutili e in alcuni casi addirittura fuorvianti.

Secondo il pentito Tommaso Buscetta il deputato Salvo Lima , su richiesta di Giulio Andreotti contattò il boss mafioso Stefano Bontate per cercare la prigione di Moro: Bontate allora incaricò lo stesso Buscetta, all’epoca detenuto, di contattare gli esponenti delle Brigate Rosse in carcere per avere informazioni e cercò la mediazione di Pippo Calò per via dei suoi legami con la banda della Magliana. Calò però chiese a Bontate di interrompere le ricerche, in quanto tra gli esponenti della Democrazia Cristiana non vi sarebbe più stata la volontà di cercare Moro.

Per la precisione in una riunione della Commissione di Cosa Nostra, Bontate convocò Pippo Calò per chiedere il suo intervento al fine di liberare lo statista. All’insistenza di Bontate, Calò avrebbe scosso le spalle, rispondendo: «Stefano, ma ancora non l’hai capito che sono proprio loro, gli uomini del suo stesso partito, a non voler affatto che sia liberato… ?!». Infatti, sempre secondo Buscetta, Andreotti, che in un primo momento si era adoperato per cercare Moro, era stato indotto a cambiare ogni iniziativa dalla notizia che il prigioniero stava collaborando con le Brigate Rosse e gli stava rivolgendo pesanti accuse.

Un altro personaggio che è stato spesso al centro delle ipotesi complottistiche fu l’esperto statunitense arrivato a Roma su invito di Cossiga, Steve Pieczenik, al tempo assistente del Sottosegretario di Stato e capo dell’Ufficio per la gestione dei problemi del terrorismo internazionale del Dipartimento di Stato Statunitense, rimasto in Italia circa tre settimane. Dopo la carriera come negoziatore ed esperto di terrorismo internazionale ha iniziato a collaborare con Tom Clancy, nella stesura di libri e film.

di Marino D’Amore

01/10/2014

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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