All’inizio di quest’anno fonti di stampa hanno annunciato l’apertura di una inchiesta ufficiale della Repubblica Ceca volta a verificare se davvero dietro il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, ad opera delle Brigate Rosse nel 1978, vi siano state responsabilità dello StB, il servizio segreto del regime comunista cecoslovacco tramontato nel 1989. La stampa ceca cita anche Vittorfranco Pisano qualificandolo come “esperto statunitense di intelligence e security, secondo il quale Moro potrebbe essere stato addirittura prigioniero a Roma nel 1978 nei locali dell’ambasciata cecoslovacca”. Atlasorbis ha chiesto al Prof. Pisano, attualmente capo del Dipartimento di Scienze Informative per la Sicurezza nella U.P. UNINTESS – Università Internazionale di Scienze Sociali di Mantova di commentare questa notizia.

A partire dalla seconda metà di marzo del 1978, quando l’On. Moro era ancora in vita e prigioniero delleBR, ho avuto modo di seguire per un decennio la cosiddetta pista cecoslovacca grazie ad incarichi istituzionali presso il Congresso degli Stati Uniti ed anche a seguito di richieste editoriali provenienti dal settore privato. Gli eventi trattati nelle mie pubblicazioni riguardano, inter alia, l’interessamento e il ruolo sistematico dei servizi cecoslovacchi in Italia già dall’inizio della Guerra Fredda, quindi molto prima della tragica vicenda Moro.

Quanto pubblicato a mia firma si basa su fonti aperte poiché gli studi, le analisi e le relazioni ufficiali delle quali sono l’autore ed altri miei scritti erano comunque intesi per il pubblico dominio. In ognuno di questi scritti – incluse quattro relazioni ufficiali al Congresso – sono comunque puntualmente citate le fonti.

A tal proposito, fra le testimonianze a cui a suo tempo ho fatto riferimento si annoverano quelle del Sen. Giulio Andreotti (più volte Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro della Difesa), dell’On.Vito Miceli (capo del SID, Servizio Informazioni della Difesa, dal 1970 al 1974), del Sen. Eugenio Reale (transfuga dal Partito Comunista Italiano) e dei fuoriusciti Ladislav Bittman, Josef Frolik e Frantisek August (fino alla loro defezione in Occidente ufficiali dello StB, il servizio d’intelligence cecoslovacco asseritamente oggetto d’indagine). Non sono state, inoltre, tralasciate le memorie ed opere di giornalisti di diverso orientamento ideologico, quali Alberto Ronchey e Giorgio Bocca.

Dal complesso di queste ed altre testimonianze e fonti documentali emergono svariate violazioni di norme che regolano le relazioni internazionali ripetutamente commesse ai danni dell’Italia, sia nell’allora Cecoslovacchia sia in territorio italiano, nonché ai danni di altri Paesi occidentali attraverso operazioni parzialmente condotte in Italia.

Per quanto riguarda azioni non inquadrabili nel contesto del terrorismo, il repertorio include: lo spionaggio politico, industriale e militare, in diversi casi seguito dall’espulsione dall’Italia di agenti cecoslovacchi con copertura diplomatica e l’arresto di cittadini italiani al servizio della Cecoslovacchia; l’infiltrazione in partiti politici d’ispirazione borghese ed in partiti extraparlamentari di sinistra; l’utilizzo di passaporti italiani per operazioni coperte, fra cui l’inserimento all’estero di agenti sotto mentite spoglie, i cosiddetti illegali; l’asilo concesso nella stessa Cecoslovacchia a partigiani comunisti macchiatisi di sanguinosi crimini durante la Resistenza e nell’immediato Dopoguerra; la custodia di archivi compromettenti riguardanti il comunismo italiano; l’opera di disinformazione per il tramite tanto di Radio Praga ed altri strumenti mediatici quanto di falsificazioni documentali.

Lo stesso terrorismo italiano è stato oggetto di interferenze e/o aiuti da parte del regime comunista e dei servizi cecoslovacchi. Esponenti del terrorismo di sinistra durante i cosiddetti anni di piombo hanno anch’essi, come i loro predecessori nell’immediato Dopoguerra, trovato rifugio, impiego e strutture di formazione o addestramento in quel Paese, mentre elementi sovversivo-agitatori attigui alle BR e aggregazioni similari hanno ottenuto finanziamenti. L’appoggio dei servizi di Praga non è neppure mancato ai separatisi altoatesini, in questo caso sotto forma altresì di attentati commessi da agenti cecoslovacchi nell’interesse di inasprire i rapporti tra i governi di Roma e di Vienna, entrambi filo-occidentali.

Con riguardo al sequestro Moro, non ho mai sostenuto, sia nelle relazioni ufficiali sia altrove, che egli fosse tenuto prigioniero nell’ambasciata cecoslovacca. Ai fini della completezza delle mie ricerche, basate sempre su fonti aperte, ho semplicemente fatto riferimento a due notizie: ovvero che le Autorità di polizia avevano considerato tale possibilità, ma l’extraterritorialità della sede diplomatica precludeva un’eventuale perquisizione dei locali e che, contemporaneamente o quasi, la rivista OP aveva formulato la stessa ipotesi dando impulso alla curiosità di alcuni privati cittadini residenti del quartiere. Costoro, dopo aver effettuato una ricognizione, conclusero che nella fuga i sequestratori di Moro avrebbero seguito un percorso non solo diverso da quello ricostruito dagli investigatori ma anche più scorrevole e che conduceva al complesso residenziale in cui si trovava l’ambasciata. Gli stessi cittadini improvvisatisi investigatori ritenevano, inoltre, di aver riscontrato movimenti inusuali di persone presso l’ambasciata durante i 55 giorni del sequestro, di essere a conoscenza dell’impossibilità da parte dell’amministratore del complesso di raggiungere telefonicamente l’ambasciata durante lo stesso periodo e di aver notato proprio il giorno del rinvenimento del cadavere di Moro un assembramento di automobili appartenenti all’ambasciata e a suoi ospiti che impediva il normale accesso all’intero complesso residenziale.

Ritengo non si possa ragionevolmente negare che organi istituzionali della Cecoslovacchia, Paese membro del defunto Patto di Varsavia, abbiano nel corso della Guerra Fredda agito ripetutamente e illegalmente in Italia e contro l’Italia, sotto le direttive e il controllo dell’Unione Sovietica, come confermato da ulteriori fuoriusciti quali Jiri Pellikan (successivamente eletto al Parlamento Europeo) e Jan Sejna (già Segretario Generale della Commissione di Difesa del Comitato Centrale Cecoslovacco).

Rimane tuttavia ancora da quantificare l’effettiva misura del coinvolgimento di Praga nel terrorismo italiano. Va in ogni caso ricordato che altri Paesi del blocco comunista, incluse la Repubblica Democratica Tedesca, l’Ungheria e la Polonia, hanno operato clandestinamente nei confronti della Repubblica Italiana e dello Stato della Città del Vaticano. Il su citato On. Miceli confermò in un dibattito parlamentare del 1982 che tre Paesi, in particolare, erano stati incaricati in sequenza cronologica dall’Unione Sovietica di svolgere attività coperte riguardanti l’Italia: la Iugoslavia, prima della rottura nel 1948 con Mosca; la Cecoslovacchia, durante la quasi totalità del confronto Est-Ovest; e, infine, la Bulgaria, una volta che il coinvolgimento clandestino di Praga risultò eccessivamente compromesso.

Sarà interessante conoscere l’esito delle indagini in corso da parte delle Autorità ceche post-comuniste. Per ora si può solo formulare l’auspicio che siano altrettanto esaurienti.

Prof. Vittorfranco Pisano

16/12/2010

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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