In merito alla tematica del “doppio lavoro” dei pubblici dipendenti, è utile tracciare le linee guida delle normative aggiornate, quelle attualmente vigenti. Purtroppo l’evoluzione giurisprudenziale contestuale, risulta spesso ancora aggrappata alle normative di settore emesse molti anni fa e molte amministrazioni recalcitrano, come abbiamo visto, una forma mentale volta all’innovazione e all’evoluzione generazionale.

Per tale motivazione è opportuno delucidare e dettagliare tecnicamente le normative che al momento disciplinano la tematica al fine di evitare qualsivoglia forma interpretativa unilaterale.
Le attività extraprofessionali dei pubblici dipendenti e degli appartenenti alle forze armate sono consentite previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza nelle modalità che tratteremo presto. Chiaramente la compatibilità dell’attività extra deve essere riscontrata tecnicamente dagli elementi stessi che la determinano, estraibili da fattori univoci che gravitano attorno a svariati presupposti che il dipendente stesso delinea in fase di istanza di autorizzazione.
Iniziamo con l’evoluzione normativa:

Invocando il principio di “esclusività”, è incompatibile, indipendentemente dalla sua inclinazione, qualsiasi attività non pertinente al rapporto di impiego che, per intensità, prevalenza, continuità costanza e professionalità, individui la realizzazione di un nucleo di interessi estranei ai doveri d’ufficio. Chiaramente dai casi esposti, vanno escluse le attività occasionalmente esercitate. Tale argomentazione veniva più volte illustrata, puntualizzata e circostanziata dalla Corte dei Conti, sez. C, 21 maggio 1984, n. 1450; Consiglio di Stato sez. V, 16 maggio 1989, n.297; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 3 agosto 1987, n. 1145.
Attenzione: non tutte le attività occasionali sono esercitabili per il solo fatto di essere occasionali. Gli elementi di compatibilità vanno valutati adeguatamente con cognizione di causa. Per tale motivazione è necessaria una congrua base di studio specifico che vada ad estrarre le radici della disciplina delle incompatibilità.

Trattiamo di seguito le varie riforme intercorse negli anni:

Sia L’articolo 58, comma 1 del D.lgs. 29/93, sia l’art. 1 comma 60 della legge 662/96 vietano al pubblico dipendente di svolgere qualsiasi attività di lavoro subordinato o autonomo. La giurisprudenza amministrativa ha puntualizzato che si ritiene incompatibile con il rapporto di pubblico impiego, un’attività extralavorativa che sia contraddistinta dalla continuità e dalla professionalità, interpretando con questo termine attività prevalente rispetto alla principale, nonché esplicitamente e proporzionalmente lucrativa (Consiglio di Stato, n. 297/89).
Quindi, allorchè l’attività svolta risulti saltuaria, potrà essere conciliabile con lo status di pubblico dipendente (previo parere e nulla osta della propria amministrazione), mentre, qualora assuma i requisiti appena richiamati, essa si porrà in conflitto con il dovere di esclusività.

Secondo l’inclinazione giurisprudenziale, un’attività extraprofessionale del pubblico impiegato diviene rimarchevole ed eventualmente incompatibile soltanto quando si concreti in un’attività strutturata e non meramente occasionale e saltuaria.
Devono quindi ritenersi ammissibili le attività svolte a titolo tipicamente occasionale.
E’ evidente che l’eventuale ricavato dovrà essere considerato quale reddito a tutti gli effetti e pertanto dichiarato nelle forme fiscali che tratteremo prossimamente.

SENTENZE:
Per il dipendente pubblico, agente di P.S., forze armate o figure parificate, valga osservare che è stata esclusa l’incompatibilità nei casi in cui trattasi di attività saltuarie praticate sporadicamente ed occasionalmente.
(Corte dei Conti, sez. contr. St., 24 maggio 1984, n.974; TAR Lazio, sez. II, 16 dicembre 1987, n. 1897; TAR Basilicata, 28 febbraio 1989, n.7; TAR Campania 28 luglio 1981, n. 709)
La saltuarietà e occasionalità a cui ci si riferisce, deve essere considerata in forma tecnica con derivazioni specifiche attinenti al pubblico dipendente e non direttamente connesse al normale lavoratore autonomo.

La primaria contingenza ammissibile trattando la coesione tra norme originarie ed evoluzioni, è che le norme originarie e gli aggiornamenti non sono una contrapposizione tra loro, da trattare con impassibilità, ma devono essere intesi come amalgamati all’unanimità.

Purtroppo la lamentela primaria dei tantissimi dipendenti è che certe norme riqualificate, corredate da aggiornamenti e disposizioni, non sono adeguatamente promosse, e spesso non sono esaminate nella trattazione delle nuove istanze. Il dipendente lamenta il fatto che le amministrazioni prendono spesso in considerazione esclusivamente la normativa primigenia senza valutarne gli effetti giurisprudenziali intercorsi negli anni.
Certamente appare utile affermare che trattasi di un’argomentazione ostica con l’effettiva tendenza a non essere perentoriamente diffusa.

Nell’anno 1996: esce la legge n. 662 del 23/12/1996 nella quale, art. 1 comma 60, inizia a parlare e trattare prestazioni extraprofessionali per pubblici dipendenti (consentite previa autorizzazione).

Nella fattispecie si narrava quanto segue: “Al di fuori dei casi previsti al comma 56 (dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale), al personale é fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa. La richiesta di autorizzazione inoltrata dal dipendente si intende accolta ove entro trenta giorni dalla presentazione non venga adottato un motivato provvedimento di diniego”
La norma citata è stata repentinamente commentata, estesa e illustrata direttamente dal Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, con le circolari n. 3 e n. 6 del 1997.

Inevitabile il richiamo all’antica e più volte modernizzata, disciplina delle incompatibilità.

Il tema è classico ma al contempo quanto mai attuale.
A partire dalla “privatizzazione” dell’impiego pubblico, la disciplina delle incompatibilità è stata oggetto di una triplice complessiva riforma: la prima, realizzata nel 1993, dal d.lgs. n. 29 e dal suo art. 58;
la seconda, portata a termine nel 1998, dal d.lgs. n. 80, che, all’art. 26, ha riscritto l’art. 58 succitato nei commi dal sesto al sedicesimo.
A ciò si è poi aggiunta tutta una legislazione d’incentivazione del part-time nella pubblica amministrazione (non destinata al personale delle forze armate).

In ultimo è stato concepito il decreto leg.vo n. 165 del 30 marzo 2001, integrato e modificato dalla legge n. 145 del 15 luglio 2002, che detta le linee tuttora in vigore relativamente alla disciplina delle incompatibilità.

L’anno 2003 è stato un anno importante per tutti i lavoratori. L’approvazione della riforma “BIAGI” sul mondo del lavoro (Legge n. 30 del 14/02/2003 ratificata e delucidata dal Decr. Lgs.vo. esecutivo n. 276 del 10/09/2003).

Il correlato art. 61 estende la fattispecie del lavoro occasionale, in essa definita, a tutte le tipologie di lavoratori. Nella fattispecie la normativa citata specifica quanto segue: Per “prestazioni occasionali” si intendono i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente”. Chiaramente se i committenti sono sempre diversi e trattasi di prestazioni occasionali circoscritte in poche ore, non vi è un tetto limite.
Questa norma è stata concepita con il preciso intento di distinguere le prestazioni occasionali dalle collaborazioni coordinate e continuative. Questo è quanto concerne la mera “prestazione lavorativa occasionale”, molto simile, ma non perfettamente uguale, ai presupposti fiscali di “lavoro autonomo occasionale”.
Per quanto concerne la nostra fattispecie, sono considerati incarichi retribuiti, tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio per i quali è previsto sotto qualsiasi forma un compenso.
Naturalmente, determinate prestazioni lavorative occasionali (sia remunerate che semplicemente svolte a titolo ricreativo, di svago o a titolo benefico) non devono arrecare alcun pregiudizio al corretto espletamento dei compiti che il dipendente è chiamato a svolgere all’interno dell’Amministrazione e non devono contrastare con gli obblighi e i doveri istituzionali, oppure riferibili a settori coincidenti con quelli demandati per legge alla propria amministrazione.

Valutiamo insieme quanto disposto dalla norma attualmente il vigore, il decr. Leg.vo 165 del 2001: lo scopo di questa direttiva è realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato.

Articolo 53:

Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati.

In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

“All’accertamento delle violazioni e all’irrogazione delle sanzioni” nei confronti degli enti pubblici economici e dei soggetti privati che abbiano conferito incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi, provvede il Ministero dell’Economia e Finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero dell’Economia e finanze” (art. 53 comma 9).
L’autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente, dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L’amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l’autorizzazione è subordinata all’intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l’amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall’intesa se l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell’amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.
Entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno precedente.

Entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della funzione pubblica l’elenco degli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi nell’anno precedente, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo previsto o presunto. L’elenco è accompagnato da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell’autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell’amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Nello stesso termine e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell’anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi.

Entro lo stesso termine di cui al comma 12 le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e, distintamente, per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all’anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11.

Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9.

Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi.
E’ stato trattato l’organigramma normativo in ordine cronologico, al fine di delineare al lettore quella che è l’evoluzione giurisprudenziale intercorsa negli anni e che ha offerto l’impalcatura strutturale attualmente in vigore. Nei prossimi articoli verranno illustrati e approfonditi i fattori operativi di regolarizzazione con tutte le relative modalità tecniche.

Visita il Blog di Massimiliano Acerra.

Doppio Lavoro Autorizzato

Avatar

Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

Lascia un commento