Ma è davvero tutta colpa del dipendente indisciplinato?

“Doppio lavoro” sommerso dei pubblici dipendenti. Utile evidenziare una branchia importante della tematica delle attività extra dei pubblici dipendenti con dei risvolti talvolta provocatori ma quanto mai attuali e allarmanti.

Uno studio specifico e statistico che viene evidenziato in questo articolo e una statistica personale di chi scrive, (ho personalmente coadiuvato migliaia di dipendenti e trattato centinaia di autorizzazioni), evidenzia che trattasi di una contingenza dai numeri esorbitanti, che non contempla un’adeguata risposta al fatto che la stessa sia così altamente sottovalutata e relegata nelle retrovie, accerchiata da normative quanto mai fumose, scarsamente chiare e pressoché in totale assenza di trasparenza. Almeno il 60% dei pubblici dipendenti ha una seconda attività, considerando anche quelle a titolo hobbistico, che nel loro piccolo, spesso comportano un’anche minima entrata.

Appena il 10% di questi pubblici dipendenti appare autorizzato ad esercitare in regola certe attività. Personalmente TUTTI i dipendenti che mi contattano giornalmente cercano nozioni per regolarizzare una posizione attiva esercitata “sotto banco”. Si tratta di numeri imponenti.

La domanda è sorta spontanea. “Ma è davvero tutta colpa del dipendente indisciplinato?”

La risposta è giunta scalpitante e quasi inattesa. La quota da riservare alla piena responsabilità del dipendente appare quanto mai ristretta e riservata solo a coloro che effettivamente esagerano in certe attività e che comunque non potrebbero mai ricevere autorizzazione per incompatibilità comprovata. Ma trattasi di casi molto isolati, applicabili ad una ristretta cerchia. In tutti gli altri casi è chiaro che la responsabilità oggettiva sia da ricercare in altri fattori che andiamo ad esaminare nel dettaglio.

Indichiamo i dati emessi dall’ISTAT: “La strada da percorrere è ancora lunga se si considera che secondo i dati dell’Istat il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso è compreso tra un minimo del 16,6% del Pil (circa 230 miliardi di euro) e un massimo di 17,7% (pari a circa 246 miliardi di euro). Nel 2004 la quota di Pil imputabile all’area del sommerso economico è scomponibile in un 10,2% (141 miliardi di euro) di sottodichiarazione del fatturato ottenuto con occupazione iscritta nei libri paga, al rigonfiamento dei costi intermedi, all’attività edilizia abusiva e ai fitti in nero, mentre un 6,4% (89 miliardi di euro) è legato all’utilizzo di lavoro non regolare e un 1,1% (15 miliardi di euro) alla necessità di riconciliare le stime dell’offerta dei beni e servizi con quella della domanda. Le nuove stime prodotte dall’Istat evidenziano che nel 2004 su 24 milioni e 294mila lavoratori, due milioni e 794 sono non regolari, con un tasso di irregolarità pari all’11,5%, in diminuzione rispetto al 2000 (13,3 per cento). I settori più coinvolti sono agricoltura (18,3%), servizi (13,4%) e costruzioni (10,8 per cento).”

Inutile sottolineare che una parte di questi dati riguarda proprio i pubblici dipendenti.

Sul portale specializzato doppio lavoro.com, avevo tempo fa lanciato due sondaggi volti a comprendere quale fosse il vero freno che il pubblico dipendente trova dinnanzi a se nel cammino alla regolarizzazione delle attività extra. Volevo comprendere se fosse una vera e propria intrinseca sindrome recalcitrante del dipendente o se lo stesso fosse frenato da normative inadeguatamente chiarificatrici o scarsamente condite da modalità trasparenti e pratiche.

Ho voluto inoltre comprendere se un dipendente pubblico in cerca della strada alla regolarizzazione, avesse pieno accesso a documentazioni, trasparenza, casistiche, modalità e soprattutto se l’amministrazione di appartenenza ( colei che materialmente ha l’onere legittimo di trattare le pratiche e quindi per prima DEVE avere piena cognizione della tematica, con risvolti prettamente normativi, tecnici e pratici) fosse adeguatamente preparata nel guidare il dipendente sul rettilineo della regolarizzazione con piena cognizione sulle modalità esecutive.

Ripeto la domanda: “Ma è davvero tutta colpa del dipendente indisciplinato?”
Vediamo il responso del primo sondaggio:

Avevo richiesto nel primo sondaggio di pochi mesi fa se le norme amministrative che regolamentano le attività extraprofessionali dei pubblici dipendenti sono chiare, trasparenti e ben delucidate o no?.

1) NESSUNO HA RISPOSTO CHE LE NORMATIVE SONO CHIARE E TRASPARENTI TANTO DA METTERE IN CONDIZIONE IL DIPENDENTE DI ESERCITARE UN’ATTIVITA’ EXTRA IN REGOLA CON PIENA COGNIZIONE SULLE MODALITA’!

2) NESSUNO HA RISPOSTO CHE LE NORME DELL’ORDINAMENTO SONO CHIARE MA LA PARTE FISCALE NO.
3) NESSUNO HA RISPOSTO CHE SONO CHIARE E CHE RISPONDONO A TUTTE LE DOMANDE.
4) IL 45% DEGLI AVVENTORI HA RISPOSTO CHE LE NORME SONO POCO TRASPARENTI E RISPONDONO SOLO IN PARTE AI TANTI QUESITI
5) IL 55% HA RISPOSTO CHE LE NORME NON SONO CHIARE PER NIENTE!

E’ chiaro che un contesto normativo tenebroso, poco trasparente e con totale assenza di modalità esecutive e pratiche per la regolarizzazione, sia un’effettiva spina nel fianco che blocca psicologicamente il dipendente, il quale richiede modalità chiare, trasparenza, sicurezza, termini chiari, normative dettagliate, casistiche di settore, documentazioni a sostegno al fine di non incorrere in un diniego motivato dall’ingiustificata inidoneità delle competenze e da una globale inettitudine dilagante che gravita attorno alla tematica. Tale contingenza radicata in primis nelle lacune normative, comporta prese di posizione non univoche e sufficientemente equilibrate delle amministrazioni, ancora pienamente aggrappate al fattore puramente discrezionale che destabilizza una condotta equanime che dovrebbe contraddistinguere la trattazione delle istanze.

E la comunità on-line che ho creato ne è attualmente piena controprova.

Nel prossimo articolo verranno evidenziate le specifiche competenze delle amministrazioni nella trattazione delle pratiche con un sondaggio dedicato ed eloquente.

Fine 1° parte.

Massimiliano Acerra.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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