Dopo l’emergenza spazzatura nell’area centrosettentrionale della regione campana., permangono dubbi sull’impatto da parte dei mancati smaltimenti sulla salute dei cittadini. Molto si è detto e molto si è drammatizzato, come sempre avviene in questi casi mediatici, però stavolta sorprese in senso negativo sono venuti proprio dai dati epidemiologici commissionati e formulati dalla Protezione Civile. Infatti l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il nostro Istituto Superiore di Sanità hanno elaborato un dossier specifico dal quale è emerso un aumento della mortalità (circa il 10%) e soprattutto delle malformazioni congenite. Pare la situazione non sia florida nemmeno in insospettabili regioni come Lombardia ed Emilia-Romagna.

Dunque i materiali di rifiuto lasciati ai bordi delle strade si autodegradano batteriologicamente sviluppando derivati dello zolfo e muffe, con cattivi odori che aumentano nelle stagioni calde. I rifiuti attraggono animali randagi, insetti, ratti, piccioni, eccetera, tutti moltiplicatori di agenti infettivi; si tratta di quelli che gli igienisti denominano vettori, cioè trasmettitori di malattie, in particolare salmonellosi, leptospirosi, epatite A., tifo. Inoltre è inveterata la cattiva abitudine da parte di alcuni di mettere a fuoco gli scarti, che, laddove siano rappresentati da plastica e solventi, bruciando danno disturbi respiratori immediati e soprattutto formazione di diossina. Per quanto riguarda le sindromi e le patologie innescate dalla diossina, si tratta davvero di un lungo e penoso elenco, che culmina con la cancerogenesi, ossia la possibilità di sviluppare tumori. Ma tumori possono essere anche determinati da concause efficienti come idrocarburi policiclici (benzene), mentre le sedi dell’organismo più colpite sono polmoni, laringe, fegato.

Un altro problema degli smaltimenti tardivi e delle discariche è il percolato, vale a dire il risultato della diluizione dei rifiuti stoccati sotto l’azione delle acque meteoriche. Questi liquami antiigienici possono penetrare nel suolo e contaminare le falde acquifere e dunque la catena alimentare. La normativa impone ai gestori di impianti di smaltimento controllato di rifiuti solidi urbani di adottare sistemi non pericolosi d’eliminazione dei percolati, come la fitodepurazione. Questa metodica possiede le caratteristiche giuste per la degradazione di numerose specie microbiche, la buona rimozione di metalli pesanti, l’abbattimento delle concentrazioni elevate di ioni ammonio e una grande diminuzione del volume di liquami tramite la evapotraspirazione delle essenze vegetali. Naturalmente c’è necessità di bacini di accumulo di percolati, isolati in situ, che sostituiscano il vecchio ed insicuro metodo tradizionale del trasporto.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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