Sull’intelligence e sulla politica internazionale infuria la tempesta e qualcuno sembra scoprire all’improvviso che lo spionaggio, quello autentico, non è mai andato in soffitta, ma ha agito di soppiatto camuffato con altre denominazioni più asettiche, tra le pieghe degli accordi bilaterali e multilaterali, ma, sostanzialmente, violando segreti e cercando di comprendere cosa realmente avvenga in casa altrui.

Eppure, per quanto ci riguarda più da vicino, c’era già stato il caso Abu Omar
a farci sospettare che teorie e studi svolti a tavolino sulle prospettive dell’intelligence non fossero coerenti con la realtà, anche se quel prelevamento non consenziente, avvenuto a Milano nel febbraio 2003, di Hassan Mustafa Osama Nasr, locale imam trasferito precipitosamente in Egitto per essere interrogato un po’ ruvidamente, aveva fatto emergere interessi che la politica dei piani superiori ancora non ha saputo chiarire completamente.

L’odierno datagate appare, invece, come una sgradita macchia su un abito di gala, là posta ad infrangere l’eleganza d’una bella serata, tra mani tese, musica e luci. Ancora una volta, gli Stati Uniti, quest’oggi governati dal democratico presidente Obama, propugnatore convinto dei diritti civili, sono chiamati in causa per aver interpretato in maniera troppo seria il ruolo di sceriffi internazionali, spiando qua e la conversazioni anche di uomini politici e vertici di Governi alleati, come nel caso del cancelliere tedesco Angela Merkel, sulla quale le attenzioni si sarebbero concentrate fin dal 2002. Secondo quanto riferito da Edward Snowden, la NSA – National Security Agency – , di concerto con la CIA – Central Intelligence Agency – , avrebbe disseminato l’Europa di centri d’ascolto – ben ottanta – , senza risparmiare Roma, per intercettare conversazioni telefoniche, comunicazioni in ambito web, messaggi sms e via internet, flussi di telefonate e quanto altro possa muoversi a livello informatico o via cavo.

Un’opera faraonica che potrebbe apparire ingiustificata, specialmente se il primo pensiero corre ai trascorsi amichevoli tra i due Stati, ai rapporti di franca e reciproca collaborazione, al comune impegno nel campo della prevenzione del terrorismo, alla presenza di truppe in territori ostili, in OFCN – Operazioni Fuori dai Confini Nazionali – . Francia e Germania hanno subito alzato un po’ i toni della protesta, mentre l’Italia ha cercato più cautamente una sponda nella UE e la Gran Bretagna ha sperato di sottrarsi al problema, probabilmente perché sembra che con la sua GCHQ – Government Communications Head Quarter – sia anch’essa coinvolta nelle attività di spionaggio, anche in modo serio.

Così, al di là delle strette di mano e delle fotografie di circostanza che immancabilmente ritraggono capi di Stato e di Governo sorridenti al termine dei meeting internazionali, lo spionaggio tutti contro tutti è tornato di gran moda – forse non ha mai abbandonato la scena – , lasciando con un palmo di naso quella schiera di teorici che affidandosi ad argomentazioni scientifiche estratte da un cassetto pontificano sulle procedure, sul ciclo teorico dell’intelligence e sul ruolo prevalente degli analisti. Si scopre, oggi, che qualcuno ha continuato ad operare nell’oscurità, ricorrendo a tecnologie d’avanguardia per carpire segreti politici, comprendere quali fossero le reali strategie e le tattiche, le convergenze e le volontà di Governi ed uomini politici, ma anche di aziende impegnate autorevolmente sui mercati internazionali. Miglia di conversazioni verso l’Africa del Nord, il medioriente e l’Asia sono state ascoltate e catalogate con metodicità sistematica, per arricchire i database, in violazione di leggi e diritti alla riservatezza. Tutto questo è lo spionaggio!! Quello tradizionale, quello vero che fa sorridere i professionisti della guerra fredda e che smentisce le ipotesi di condivisione di dati e strategie.

Qualcuno arriccia il naso, perplesso e sfiduciato avendo creduto in una ritrovata armonia tra partner, mentre per altri ancora una volta si tratta dell’ingerenza a stelle e strisce, quella stessa accusata dei golpe in America Latina.

Se veramente desideriamo comprendere ciò che è successo e che verosimilmente si verificherà ancora, non sempre per mano dello stesso soggetto amico, allora dobbiamo accantonare le emozioni e guardare la realtà con disincanto, almeno per imparare. In questo caso, i problemi sul tappeto appaiono un paio: la sicurezza nazionale e la supremazia commerciale, senza mai trascurare l’importanza assoluta della sovranità nazionale, che ciascuna nazione deve salvaguardare da ogni possibile intrusione.

La prima questione deve essere analizzata secondo molteplici punti d’osservazione ed in questo campo, si sa, gli americani procedono con determinazione, soprattutto dopo gli attentati del 2001. La loro sicurezza interna è il bene principale da tutelare e per ottenere risultati non trascurano nulla, disposti a prevaricare i diritti altrui, fino ad interessarsi agli equilibri politici esterni che potrebbero lasciarli sguarniti, un po’ più isolati nella battaglia per la libertà. Una linea di condotta che sembra ispirarsi al concetto di Bismark della forza prima del diritto. Si tratta d’un modo d’osservare la questione non del tutto biasimevole, secondo l’osservatorio del diretto interessato, anche se poi ci irriti vedere estranei nel giardino di casa, ma dovremmo prevenire i problemi e tutelarci meglio. C’è poi la questione economica, che oggigiorno non è assolutamente di secondo piano, e muoversi verso soluzioni che favoriscano le proprie aziende non è inconcepibile, anche se forse bisognerebbe sgomitare un po’ meno – si tratta di un aspetto etico più che sostanziale – , ma sul ring chi non picchia forte rischia di finire knock out.

Non è poi da escludere che qualcuno del mondo politico europeo ben sapesse, no sospettasse, e che qualche accordo operativo sia stato raggiunto magari con una vigorosa stretta di mano, come nel caso dell’egiziano Abu Omar.

Se così non è stato, allora qualcosa veramente non ha funzionato e dovremo immaginare che come sempre si verifica in casi simili, qualche poltrona stia tremando e qualche testa si accinga ad essere sacrificata sul ceppo della ragione di Stato. Succederà a Washington D.C., dove il Presidente ha dichiarato di non essere proprio a conoscenza di tutto ciò che accadeva, mentre la fedele Hillary Clinton ha già preso le distanze, e qualche vertice dell’intelligence dovrà assumersi la responsabilità d’aver messo in cattiva luce il capo supremo. Succederà altrove, dove i vertici violati s’interrogheranno sull’efficacia delle proprie strutture di protezione, che non hanno prevenuto gli attacchi, indipendentemente d’origine amica o nemica.

Certamente da un amico non ci si aspetta un’azione sgarbata, ma la politica è l’arte del possibile – per rimanere nel mondo di Bismark – e ci si deve far rispettare. Anche questo rientra nella sicurezza dello Stato e l’intelligence è uno strumento efficace per assicurarla e per fornire al decisore gli elementi conoscitivi più adeguati ad intraprendere la giusta direzione.

Maurizio Carboni Direttore Generale MISC – Multinational Intelligence Studies Campus

Roma 01 Novembre 2013

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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