Dopo i 40 anni tutti i soggetti di sesso maschile dovrebbero interrogarsi su alcuni sintomi caratteristici di una delle più diagnosticate neoplasie, quella della prostata, che rappresenta circa il 20% dell’incidenza fra tutti i tumori. Perciò, particolarmente fra 50 e 70 anni, è consigliabile, visti anche i numerosi casi senza sintomi, una esplorazione digito-rettale e una determinazione del PSA (antigene prostatico specifico) nel sangue.

La prostata è un organo maschile che si trova alla base della vescica e che ha una struttura microscopica simil-ghiandolare. Pertanto, in rapporto all’ostruzione dell’uretra e quindi al passaggio dell’urina, con l’ingrandirsi della prostata si avranno problemi sempre maggiori di minzione (getto più corto, necessità di urinare più spesso, soprattutto alla notte, a volte con dolore). Col progredire del tumore si avrà perdita di sangue o sperma nell’urina, dolore perineale, alterazione della funzione erettile e, all’esordio della malattia, ritenzione acuta d’urina.

Il semplice ingrandimento della prostata, detto adenoma o ipertrofia, può portare ad un aumento del PSA, ma sempre entro il limite di 4 ng/ml; sotto di questo limite solo un 5% di soggetti incomincia a sviluppare una neoplasia maligna che è ancora confinata entro la capsula prostatica. Esiste poi una frazione del PSA, detta free, non legata a quella enzimaticamente attiva e quindi più alta nell’ipertrofia; in altre parole un rapporto PSA free/PSA totale maggiore del 20% fa pensare ad una patologia benigna.

Un’altro esame, l’ecografia, va eseguita in caso di sospetto prima di arrivare alla decisiva agobiopsia (6 prelievi nella zona periferica della prostata, con affidabilità pari al 90-95%). La metodica ecografica d’elezione (preferibile a quella anteriore pelvica) è la transrettale, che visualizza posteriormente i carcinomi, localizzati nel 70% dei casi proprio nella zona periferica posteriore e capaci di presentarsi come aree ipoecogene (più scure) inizialmente ed ipoecogene (più chiare) negli stadi avanzati del tumore. L’ecografista dovrà anche specificare la dimensione di tali aree, poiché quanto maggiore sarà il loro diametro tanto maggiori saranno le probabilità che si tratti di una patologia maligna.

Dunque a questi tre iniziali elementi diagnostici (esplosione rettale, PSA, ecografia) va aggiunta chiaramente un’accurata anamnesi, nella quale si annota il comportamento del paziente (minzione) e i fattori di rischio, che comprendono la familiarità, la razza (la nera nei Paesi Occidentali è a magior rischio), i fattori occupazionali (esposizione a sostanze nocive), eventuali fattori dietetici (forse l’aumento dell’assunzione di grassi), soprattutto i fattori ormonali; in effetti il cancro prostatico è un tumore androgeno-dipendente, ciò significa che per svilupparsi ha bisogno di buoni tassi plasmati di ormoni maschili, mentre malattie comportanti aumento del livello sieroematico di estrogeni (ormoni femminili) possono controbilanciare l’azione degli androgeni testicolari.

Entrando più nello specifico, una volta che il carcinoma sia assolutamente accertato, lo specialista urologo valuta gli elementi sopradescritti e lo score istologico di Gleason (tipologia e delimitazione dei noduli) e dà un punteggio al rischio. Naturalmente bisogna classificare le neoplasie anche sulla base dell’invasività, andando da T1 a T4 a seconda se esistano metastasi e se esse si allarghino progressivamente alle vescichette seminali, alla vescica, al retto, alla parete pelvica ed oltre.

La sopravvivenza a 5 anni dei pazienti con invasività vicina è del 40%, mentre è del 20% per chi ha metastasi a distanza. Comunque c’è una tendenza ad operare anche l’adenoma tramite resezione trans-uretrale (tecnica TURP), sviluppando procedure in eccesso. La terapia chirurgica dell’adenocarcinoma porta statisticamente a ricadute locali nel 50% dei casi in media, ed il trattamento radiante post-operatorio riduce tale rischio di un ulteriore 50%. Dopo la prostatectomia radicale gli altri casi sono riportati come sopravvivenze a 15 anni di distanza senza segni di malattia (PSA non dosabile), mentre la persistenza o la ricomparsa del PSA è indice rispettivamente di mancata radicalità dell’intervento o di ricaduta.

Dunque la radioterapia ha, soprattutto ora che è guidata con TAC capaci di non far irraggiare i tessuti vicini sani, ottimi margini di successo anche in alternativa alla chirurgia, dal 70 al 90% per gli stadi T1 e T2. I disturbi acuti intercorrenti sono del tutto transitori, mentre la stenosi o la incontinenza vescicale tardiva è trascurabile statisticamente (2%). Inoltre più facilmente è preservata la potenza sessuale (75% dei casi) rispetto al trattamento operatorio, dove la possibilità di preservare la normale funzione erettile riguarda il 40% dei pazienti nonostante la cautela della tecnica “nerve-sparing”.

Alcune altre metodologie terapeutiche sono in sperimentazione, anche in associazione con quelle classiche.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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