Il Martirio di san Matteo è un dipinto a olio su tela di grandi dimensioni (3,23×3,43 mt) realizzato da Caravaggio, databile intorno al 1600-1601 e conservato nella Cappella Contarelli. Esso fa parte della serie di opere eseguite per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma tra il 1597 e il 1603, forse l’apice della carriera artistica del Merisi.

Il tema oggetto del quadro è tratto dalla leggenda legata a Re Irtaco che accusato dal santo per le sue mire illecite e incestuose sulla figlia Egesippo, lo fa uccidere mentre dice messa. L’elemento che appare lampante è che il vero soggetto dell’opera è un delitto, uno dei tanti a cui l’artista ha assistito. L’assassino è la figura dominante, il protagonista al centro della scena che catalizza tutta l’attenzione degli osservatori.

È seminudo, dalla corporatura atletica, con la sua capigliatura e la fascia in testa ricorda gli eroi delle statue greche, ma anche l’adamo della Sistina dell’altro Michelangelo: Il Buonarroti. in questo caso le varie citazioni artistiche assumono una connotazione negativa fatta di crudeltà, violenza e sacrilegio. I personaggi presenti nello spazio figurativo, i fedeli presenti alla messa, fuggono in ogni direzione, sconvolti, o almeno tentano di farlo perché, al tempo stesso, pietrificati e scomposti in gesti e posture da cui traspare tutto l’orrore e la tensione della una scena simile.

Il sacrificio eucaristico della messa si ripete in quello di san Matteo e richiama quello di Cristo. Infatti la posizione delle braccia di San Matteo, aperte, richiama la croce, egli è illuminato solo parzialmente o almeno non quanto lo è il carnefice, perché il santo già in quel momento assurge alla Grazia Divina. Il vero protagonista, come detto, è dunque il sicario, è su di lui che deve agire la luce salvifica di Dio. In alto a destra un angelo si sporge da una nuvola per tendere a San Matteo la palma del martirio: un’immagine elegante e delicata che richiama l’attenzione, in quanto avulsa dal contesto di estrema agitazione che la circonda.

Da un punto di vista criminologico Caravaggio decide di rappresentare il martirio del santo come un assassinio brutale lungo una strada immersa nel buio della sera, insomma siamo davanti a una scena di un delitto dove ricompare ancora una volta la sua cifra stilistica: un episodio della vita del suo tempo viene immerso in un contesto sacro, per conferire realtà, suggestione emotiva e pathos. Un delitto, insomma, come i tanti di cui l’artista è stato testimone o addirittura autore. Un uomo sta per essere ucciso dalla spada affilata di un altro, ma questa volta l’artista è lì, anche nel quadro.

A sinistra, illuminato in volto, c’è un personaggio con la barba che mentre fugge sembra voltarsi per osservare l’evento. Ha un’espressione sconvolta, sembra che stia piangendo: é Caravaggio, il suo autoritratto. Uno slancio autoreferenziale che testimonia come la scena sia più che mai reale e abituale per la quotidianità vissuta dall’artista.

Dalla radiografia dell’opera sappiamo che Caravaggio compose tre diverse versioni del quadro: nella prima, una composizione più classica e con il fondo chiuso dalla mole di un tempio, raffigurava al centro un soldato che irrompeva nella scena coprendo il santo. Tra l’altro pare che il soldato avesse la posa dell’angelo del Riposo durante la fuga in Egitto. Nella seconda versione invece i gesti dei personaggi palesavano un pathos ancora maggiore. Insomma il pittore sembra volerci testimoniare la tragedia della sua attualità, la violenza dilagante del suo tempo.

E’ una testimonianza viva, piena di consapevolezza, una fotografia della sua epoca che viene tramandata a noi, ma al tempo stesso un’opera immensa che s’imprime a fuoco nella storia dell’arte .

Marino D’Amore

Roma 16 Novembre 2014

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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