Da pochi mesi a Reggio Calabria quale è la sua prima impressione e quale differenza con Caserta?

Sono arrivato qui a Reggio Calabria preparato che avrei trovato una città difficile, complessa, una città in cui lavorare non sarebbe stato facile. Questa città credo si distingua dalle altre realtà, anche dalla stessa Caserta, dove l’azione della criminalità organizzata era molto più evidente, in special modo nell’ultimo periodo caratterizzato da un cruento conflitto tra le cosche, con omicidi e un’intensa attività estorsiva e culminato con la strage degli extracomunitari. Una situazione del genere, qui a Reggio Calabria, non credo possa ripetersi, anche perché la struttura criminale presente su questo territorio è abbastanza diversa da quella casertana, direi molto più simile a quella siciliana. La struttura calabrese, infatti, è composta per lo più da clan familiari ed è anche per questo motivo che è molto difficile trovare qualcuno che si penta in questo contesto, perché dovrebbe tradire un genitore, un fratello, insomma un legame di sangue.

Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta: le differenze “culturali” corrispondono a diversi sistemi investigativi?

La differenza “culturale” gioca in effetti un ruolo importante. Si passa dalle stragi camorristiche ad un contesto dove regna la cosiddetta pax mafiosa ed un sistema di controllo del territorio abbastanza radicato e ramificato, attraverso la riscossione del “pizzo”, senza parlare della mafia dei “colletti bianchi”. L’approccio comunque è abbastanza simile, l’attività investigativa ha dei canoni ben precisi: conoscenza del territorio e delle persone, oltre agli strumenti tecnici sempre più avanzati che, a mio parere, facilitano molto di più il lavoro rispetto al passato. Ho svolto attività investigativa nei tempi in cui la leggendaria microspia era solo un sogno ed al massimo si riusciva a mettere uno o due telefoni sotto controllo. Ovviamente, oggi, con l’evolversi dei sistemi tecnologici e con il progredire dei diversi mezzi di comunicazione si rende necessario, alcune volte, mettere sotto controllo 50-60 telefoni, utilizzare 20 microspie. Sembrerebbe tutto più semplice, anche se io resto convinto che occorre, in ogni caso, avere la conoscenza del territorio. Questo aspetto ipertecnologico, purtroppo, sta facendo allontanare un po’ il poliziotto dalla strada. Chi lavora per tante ore dietro una scrivania con una cuffia ed un registratore rischia, alcune volte, di non conoscere neanche le facce delle persone intercettate. Conoscere un viso, comprendere una voce, sapere delle frequentazioni è estremamente importante, ritengo sia la base e l’origine del sistema investigativo senza il quale tutto il patrimonio tecnologico investigativo acquisito ha certamente minor valore.

Proprio a tal proposito porto sempre ad esempio, magari scolastico ma credo significativo, un episodio della mia carriera avvenuto ai tempi di quando dirigevo la Squadra Mobile di Caltanissetta. Ricordo che ad un posto di blocco fu ucciso un carabiniere. In particolare da una macchina in transito, una Peugeot 205 bianca, un uomo sparò con un fucile uccidendo un carabiniere mentre l’altro operatore, seppur ferito, riuscì a rispondere al fuoco con una raffica di mitra, colpendo l’auto in fuga. Nell’immediato si parlò di terrorismo e di mafia quale motivazioni della sparatoria. Io, come facevo solitamente, dopo il sopralluogo e dopo aver acquisito le prime notizie, andai in ufficio e riunii tutto il personale per informarli di quanto successo, chiedendo loro un parere. Un ragazzo, l’ultimo arrivato, mi chiese se poteva esporre la sua idea. Gli risposi che tutte le idee erano valide. Disse che una macchina come quella descritta era in uso al figlio di un avvocato della zona. Questo ragazzo era un tossicodipendente ed era stato arrestato dai carabinieri, qualche tempo prima, per possesso di sostanze stupefacenti e, particolare non trascurabile, per questo motivo odiava, senza nasconderlo, i carabinieri. Chiesi se sapesse dove abitava l’avvocato in questione e ci portammo immediatamente. Entrammo in questa villa, scavalcando il muro di cinta, e rinvenimmo la Peugeot 205 piena di fori di proiettile. Dentro casa, invece, trovammo il padre svenuto a terra, la figlia che piangeva ed il ragazzo che stava morendo dissanguato, perché il carabiniere lo aveva colpito alla coscia. Senza perdere un attimo mettemmo il ragazzo sulla nostra macchina e lo portammo in ospedale, dove riuscirono a salvarlo. Immaginate solamente le conseguenze, anche solo umane, se io avessi svolto un’indagine in chiave moderna. Invece bastò che un giovane poliziotto, nell’ambito di quello che era la sua conoscenza del territorio e delle persone, facesse un quadro della situazione per risolvere il caso. Anche se l’esempio potrebbe apparire abbastanza semplicistico, serve a far capire come la conoscenza della “strada” possa aiutare in maniera importante l’apparato investigativo moderno.

Quanto incide la “’ndrangheta” sul tessuto economico di questa città e qual è il ruolo che il mondo imprenditoriale, a suo parere, potrebbe svolgere?

La ‘ndrangheta, così come la camorra e così come la mafia incidono tantissimo sul tessuto economico-sociale di una città. Reggio Calabria non fa eccezione. La ‘ndrangheta svolge un ruolo significativo anche nel condizionamento dell’attività politica. Basti pensare ai tanti comuni sciolti o commissariati per infiltrazioni mafiose. E’ un sintomo di un malessere più diffuso, più ramificato, a conferma che la ‘ndrangheta non fa solo traffico di droga, ma si occupa tutte quelle attività, alcune anche apparentemente lecite, che condizionano una comunità civile.

L’altro dato drammatico è rappresentato dal fatto che nessun imprenditore o associazione di categoria sembra mostrare alcun segno di reazione.

A Caserta, proprio per questi motivi, mi sono fatto promotore di una sorta di cartello industriale meridionale contro il pizzo. La risposta è stata che la Confindustria campana e quella siciliana hanno risposto ed aderito, da quella calabrese attendo ancora una risposta.

Non dimentichiamo le forti prese di posizione del presidente siciliano, Lo Bello, e di quella campana, Coppola, oggi Vice Presidente Nazionale di Confindustria. Sintomatico, invece, il silenzio della Calabria che la dice lunga sul forte condizionamento che la ‘ndrangheta esercita sul mondo produttivo, economico e sociale, limitando anche la crescita culturale. Quello che mi ha colpito maggiormente, ad esempio, è l’assenza totale di aperture. Dopo il mio discorso alla Festa della Polizia di quest’anno, da molti ritenuto di altissimo profilo, mi sarei aspettato qualche segnale. Ho ricevuto molti complimenti da parte degli esponenti della Magistratura, solo il silenzio dalla realtà economica. Un silenzio assordante ed un muro invalicabile.

Cosa pensa lei? Mancanza di coraggio, connivenza, scarsa presenza dello Stato o che altro?

Io credo che alla base, fondamentalmente, ci sia un fortissimo condizionamento della ‘ndrangheta, superiore ad ogni altro aspetto. Nonostante le quasi, direi, fisiologiche inadempienze dello Stato, una risposta c’è sempre stata. Polizia Carabinieri e Guardia di Finanza hanno fatto sempre il proprio dovere, ed anche qualcosa in più, pagando prezzi altissimi che non dobbiamo mai dimenticare.

Serve un rilancio sotto il profilo culturale, insomma?

Sì, serve una reazione da parte di tutta la società civile, in tutti i suoi settori. Nel mondo imprenditoriale dovremmo, per esempio, cercare di isolare e colpire quelle imprese che risultano gestite direttamente, o tramite prestanome, dalla ‘ndrangheta, ridando fiducia viceversa agli imprenditori onesti. Nel campo della cultura, invece, sto cercando di girare più scuole possibili. Agli studenti evito accuratamente di leggere discorsi preconfezionati, ma cerco di parlare a braccio, avvicinandomi il più possibile al loro mondo. Non serve un linguaggio accademico ed un confronto docente-discente, ma credo sia molto più utile un confronto diretto, di parlare lo stesso “linguaggio”. L’educazione alla legalità, l’antimafia si fa parlando con il cuore, non solo con la testa. Quando ti rivolgi ad un ragazzo di 13-14 anni, non puoi parlargli con filosofia, ma devi spiegargli bene cosa vuol dire libertà, cosa significa acquistare presso un commerciante che si guadagna da vivere con il frutto del proprio lavoro e non da chi i guadagni se li fa riciclando denaro sporco, magari proveniente dal traffico della droga. E Reggio Calabria ne ha tante di persone che si guadagnano da vivere così. Non nascondiamo la testa sotto terra, facendo finta di non vedere. Così non aiutiamo i nostri figli a crescere nella legalità. Credo che in Sicilia, per esempio, la cultura antimafia sia maggiore. Una regione che ha pagato un tributo altissimo tra le forze dell’ordine, la magistratura e la società civile, ha sviluppato una sensibilità maggiore nella coscienza dei cittadini. Qui i sacrifici del giudice Scopelliti, dell’imprenditore Musella, di alcuni esponenti delle forze dell’ordine e del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Fortugno, non sono bastati, o meglio, non sono serviti a risvegliare in maniera significativa le coscienze.

In effetti in Sicilia c’è una lista interminabile di uomini dello Stato e della Società civile ammazzati per mano della Mafia.

E’ questo secondo me il dato da analizzare bene. E ci vuole una risposta forte e concreta, di cui io mi faccio carico per il ruolo che ricopro e per la responsabilità che mi deriva di guidare questa struttura e questi uomini. La Polizia non è stata e non starà a guardare. In questa città i risultati sono stati finora di rilevante valore. Ora bisogna guardare avanti, incidere ancora più a fondo, rimanere vigili sulle dinamiche che muovono il tessuto economico, gli appalti, la vita politica e sociale.Oggi ritengo sia da rivedere anche il sistema giudiziario, perché così non credo vada bene. Ognuno dovrebbe svolgere il proprio compito, senza commistione di ruoli e responsabilità. Sono del parere che dovremmo cercare di avvicinarci di più al modello americano o anglosassone. Un esempio su tutti, il magistrato di turno direttamente allo stadio, durante le partite di calcio. Processo immediato a chi viola le più elementari regole vigenti, con il risultato, da tutti riconosciuto, che, paradossalmente, il tifo più violento come quello degli hooligan è stato ridimensionato, tanto da permettersi di eliminare le barriere allo stadio.

Il ruolo del Sindacato e i rapporti con le OO.SS.

In una struttura complessa come la nostra Amministrazione, le organizzazioni sindacali rivestono un ruolo significativo, anche per la funzione di raccordo con la società civile che svolgono. Certamente riconosco che il compito svolto all’interno dell’Amministrazione è molto delicato e serve un grande senso di responsabilità e di elasticità mentale, anche perché non è facile conciliare l’aspetto meramente contrattuale-regolamentare con quello della specificità lavorativa. In alcune occasioni lavorative si creano delle situazioni che vanno al di là di quanto previsto dall’accodo nazionale quadro, ma come si fa a non rispondere o a “rinviare” un’emergenza di qualsiasi tipo o stare a guardare l’orologio? Ecco, in questi casi è necessario il senso di responsabilità e l’elasticità mentale delle OO.SS. e degli stessi operatori. Credo che bisogna sempre tener conto della peculiarità del lavoro che svolgiamo e della complessità del nostro sistema

Il rapporto con gli enti locali e quali possibili sinergie con loro?

Una struttura come la nostra deve necessariamente integrarsi con il sistema democratico che regola la società contemporanea, e quindi con gli Enti locali che interagiscono in questa provincia, anche perché solo così si riesce ad individuare le esigenze del territorio e ad intercettare i bisogni della comunità.
Cosa si aspetta dalla società civile di questa provincia?

Mi aspetto che faccia emergere quell’orgoglio meridionale utile per una importante ripresa economica e favorevole alla formazione di una società senza il condizionamento della ‘ndrangheta.

Immagino si aspetti anche una maggiore apertura?

Si è vero, sotto questo aspetto credo dovranno essere compiuti passi significativi che, purtroppo, ancora non vedo. Noto una certa differenza rispetto al mio ultimo incarico, a Caserta, dove ogni giorno mi incontravo e, soprattutto, mi confrontavo con le diverse parti sociali, con i rappresentanti delle associazioni di categorie, con gli industriali. Qui invece tutto questo non è avvenuto, diciamo meglio non è ancora avvenuto. La mia disponibilità e la mia voglia di fare non ha ancora attecchito e trovato i giusti riscontri. Ma non dispero. Vivo il mio lavoro con passione e sono consapevole che sono necessari dei tempi fisiologici e che non tutti rispondono allo stesso modo.

Un Questore cittadino onorario di Casal di Principe.

Casal di Principe è stata da sempre definita come la patria dei Casalesi e Casalesi equivale a Camorra, quella più spietata. Cosicché tutti gli abitanti di quella zona sono etichettati come camorristi. Una definizione che non mi è mai piaciuta, anche perché ci sono persone per bene che subiscono solamente la prepotenza mafiosa. Allora ho avuto l’”ardire” di proporre lo svolgimento della Festa della Polizia proprio a Casal di Principe. Ho ricevuto da tutti reazioni preoccupate per l’”accoglienza”che avremmo potuto ricevere. Ho chiamato il Capo della Polizia ed ho chiesto la sua disponibilità per la presenza. Mi ha risposto solo di spostare la data, per poter partecipare a quella che si sarebbe dovuta svolgere a Roma. E così feci. Quel giorno a Casal di Principe, oltre al Capo della Polizia, Prefetto Antonio Manganelli, ed al suo intero staff, c’erano più di cinquemila persone, cittadini casalesi, studenti, magistrati e buona parte della società civile. I balconi erano stracolmi di gente. Un’apoteosi. Alla fine della cerimonia molti cittadini si sono fermati per stringere le mani al Capo della Polizia, sbalordito da questa calorosa accoglienza. Questa mia presenza, la presenza dello Stato e delle Istituzioni ha sdoganato una realtà condannata dalla camorra. E’ per questi motivi che il Sindaco decise di conferirmi la cittadinanza onoraria, durante una emozionante cerimonia cui prese parte anche il Sindaco di questa città, Giuseppe Scopelliti, che ancora ringrazio per la sua squisita sensibilità. Oggi posso dire con orgoglio di essere anche io un casalese, per meglio dire un cittadino di Casal di Principe.

Carmelo Casabona: l’uomo e la famiglia.

Io non sono nato poliziotto. Da piccolo ero talmente appassionato di Scienza che effettuavo dei veri e propri “interventi chirurgici” con la lametta. Mi piaceva guardare, studiare. Sognavo di fare il medico o il patologo ma non ci sono riuscito. Avrei voluto iscrivermi alla Facoltà di Medicina, ma questo avrebbe comportato il trasferimento a Palermo. Essendo figlio di un operaio non potevo permettermi, per ragioni economiche, di studiare fuori dalla mia città e così fui costretto a scegliere la facoltà di Giurisprudenza. Ed eccomi qui. E’ da tanti anni che vivo tra caserme e alloggi di servizio. Il risultato è che due figli su tre sono diventati poliziotti come me. Uno presta servizio presso la Polizia Stradale di Siracusa, l’altro presso la Squadra Mobile di Caltanissetta. Il terzo, invece, ha scelto un’altra strada professionale. Il lavoro ha assorbito gran parte della mia vita. Non ho avuto la possibilità di vivere appieno la famiglia, non ho visto crescere i miei figli e mia moglie non mi ha avuto accanto. Questo è il mio rammarico più grande.

Cosa le hanno insegnato le esperienze professionali ed umane finora vissute?

Nel mio lavoro e nei rapporti umani ho messo sempre il cuore. Chiunque ha avuto la possibilità di lavorare con me, in qualsiasi posto io sia stato, ne conserva un ricordo positivo. E lo dico senza presunzione. Mi ricordano perché lascio sempre un segnale di amore nel lavoro che svolgo, rispetto delle regole e soprattutto della dignità di tutti coloro che operano con una divisa. Questo è il mio modo di fare. Penso che sia fondamentale mettere prima l’uomo e poi la funzione. Chi comanda, chi ha la responsabilità di gestire degli uomini deve dare sempre l’esempio. Solo così il suo ruolo diviene importante, ha credibilità davanti ai suoi uomini diventando un punto di riferimento.
Un sogno nel cassetto o…..cosa vorrebbe fare da grande?

Sono abbastanza realista e credo di aver realizzato tutto quello che desideravo nella mia vita. Ho sposato la donna che amavo, ho avuto tre meravigliosi figli e sono diventato Questore a 47 anni. E’ difficile e ingeneroso poter chiedere di più alla vita.

Ferdinando Spagnolo

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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