Conciliatori e mediatori pubblici dipendenti, controversie normative e dibattito con il Dipartimento della Funzione Pubblica.

LETTERA AL DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA.

AL: CONSIGLIO DEI MINISTRI
DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA
Corso Vitt. Emanuele, 116
00186 – ROMA

OGGETTO: CONCILIATORI E MEDIATORI APPARTENENTI AL PUBBLICO IMPIEGO. Controversie sulle autorizzazioni per attività extraprofessionale.

Roma, 04 giugno 2012

Si richiede delucidazioni in relazione alla nota numero 3357/2012 emessa dal Dipartimento della Funzione Pubblica inerente le indicazioni relative al regime autorizzatorio per l’esercizio dell’attività extraprofessionale di mediatore civile e commerciale ad opera dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. (Il mediatore civile è la figura introdotta dal decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, (Gazzetta Ufficiale n. 53) in attuazione della Riforma del Processo Civile (l. 69/2009).

Nella fattispecie in un sunto, la nota precisa che: “onde procedere all’autorizzazione, l’amministrazione, in sede di istruttoria, dovrà dunque verificare la natura dell’incarico che dovrà essere caratterizzato dall’occasionalità e non dovrà presentare alcun profilo di conflitto di interesse rispetto all’attività istituzionale. Inoltre, l’eventuale autorizzazione dovrà contenere espressamente la “clausola” che l’incarico dovrà svolgersi al di fuori dell’orario di lavoro, eventualmente utilizzando gli strumenti oggi vigenti (ferie, permessi personali), sempre che questi siano compatibili con le esigenze dell’amministrazione.”

In relazione alla trattazione tecnica della nota inoltrata alle amministrazioni, certamente appare chiarificata la questione relativa alla concreta possibilità di esercitare l’attività da parte dei pubblici dipendenti, fattore che aveva creato non poche complessità d’intendimento.

Nonostante questa chiarificazione, si richiede un’ulteriore disamina in relazione agli elementi tecnici che delineano la compatibilità dell’attività di mediatore. Difatti, già da tempo, ci siamo trovati a trattare una moltitudine di istanze di autorizzazione sempre costantemente negate per motivazioni non connesse tanto alla diatriba normativa del “si può o non si può”, ma più che mai congiunte ad una serie di cause inerenti ad alcuni requisiti specifici che detiene l’attività medesima.
Nella fattispecie, ai dipendenti non è stata contestata tanto l’incertezza normativa sulla possibilità in carico al pubblico dipendente di esercitare detta attività extraprofessionale, tanto alcuni requisiti specifici inerenti due punti essenziali: il presupposto di continuità e presupposto di professionalità.

SITUAZIONE ATTUALE:

Nel primo caso, (continuità), molte amministrazioni hanno eccepito il fatto che una tale attività, anche se esercitata solo all’occorrenza e nei casi sporadici in cui venga incaricato un contenzioso, comporta comunque un fattore di continuità anomalo e difficilmente circoscrivibile e conciliabile con le mansioni demandate per legge alle amministrazioni e ai pubblici dipendenti in genere. Difatti, è stato eccepito che anche se un contenzioso può durare solo quattro mesi, una molteplicità di incarichi darebbero luogo ad un’attività sostanzialmente continuativa.
Nel secondo caso, (professionalità), viene posto quale ulteriore ostacolo il fatto che la figura del mediatore, in considerazione del rapporto giuridico-economico con gli enti, aggiunto a competenza ed esperienza, nonché a doveri del conciliatore (riservatezza degli atti, segreto professionale, inutilizzabilità di dichiarazioni e informazioni acquisite durante il processo di mediazione ed altro) lo parifica a una figura professionale pertanto incompatibile con l’art. 60 del d.p.r. n. 3 del 1957 e con l’art. 53 del decr. Leg.vo 165/2001.

Ho personalmente trattato decine e decine di istanze andando ad eccepire i due punti che costantemente vengono poste come base per il diniego.
Il primo caso, (presupposto di continuità) è aggirabile materialmente circoscrivendo l’attività con un numero limite di mediazioni e incarichi sottoscrivibili preventivamente nell’arco dell’anno, al quale si aggiunge la piena libertà di organizzazione del conciliatore in merito alle tempistiche di esecuzione delle mediazioni e al ristretto margine temporale che le stesse contemplano per singolo procedimento.

In merito alla seconda origine di diniego (presupposto di professionalità), è stato rimarcato decisamente che il mediatore non è un giurista, né tantomeno un giudice, ma solo “un soggetto” al quale viene richiesto, mediante la comunicazione, di far pervenire le parti a un accordo. Inoltre la specifica interpretazione che certe amministrazioni hanno voluto attribuire al peculiare presupposto di professionalità, appare in contrasto con quanto non solo stabilito dalla norma di settore, ma con quanto materialmente sia l’applicazione pratica delle direttive. La figura di conciliatore viene rivestita e può essere rivestita, da soggetti non essenzialmente professionisti del campo legislativo e giurisprudenziale: l’essenziale è che questi abbiano di fatto conseguito la qualifica prevista dalla norma, (a seguito di un corso di formazione molto breve) indipendentemente dalle nozioni giurisprudenziali conseguite in altri campi. Concretamente l’attività può essere regolarmente esercitata (e viene tangibilmente esercitata) da chi esercita materialmente un’altra attività prevalente non necessariamente dettata da requisiti di professionalità inerenti la tematica in questione.

Nonostante questi punti siano stati adeguatamente invocati, sono sopraggiunti comunque dinieghi ripetuti da parte delle amministrazioni che hanno sottolineato costantemente questi requisiti come motivazione primaria di diniego.
Ed ecco dove nasce la necessità di un intervento chiarificatore.

DISAMINA DELLA QUESTIONE:

Il conciliatore non è materialmente un libero professionista, ma semplicemente un soggetto con altra attività lavorativa prevalente che, previa qualificazione, personifica questa figura in via saltuaria in alternativa all’impiego principale. Pertanto appare invece chiaro che il mediatore, al contrario di quanto evidenziato da alcune amministrazioni, non sia una figura necessariamente professionale con requisiti e studi specifici di settore, ma abbia qualificazioni anche in altri campi con l’unica eccezione di essere giuridicamente qualificato a seguito del conseguimento dello specifico corso di formazione e breve periodo di tirocinio.
Per tale motivazione, il conseguimento della qualifica di conciliatore è aperta ad una moltitudine di soggetti, ivi compresi i pubblici dipendenti, proprio per l’assenza del carattere “vero” di professionalità e del carattere reale di libera professione o professione intellettuale disciplinato dall’art. 2229 e seguenti del codice civile, nei quali sono evidenziati i caratteri reali del professionista di settore, ben discosti dalle attribuzioni del conciliatore. Apparirebbe inverosimile poter parificare un giurista specializzato che detiene la propria attribuzione a seguito di anni di studi e praticantato a soggetti materialmente qualificati solo a seguito della frequentazione di un breve corso di qualificazione di poche settimane. Eppure le amministrazioni hanno eccepito proprio questo fattore attribuendo un’inadatta professionalità che appare alquanto arbitraria e baldanzosa al pubblico dipendente che eserciterebbe l’attività.

Allo stato attuale tutti i pubblici dipendenti che hanno investito il loro capitale al fine di qualificarsi per esercitare l’attività in concomitanza al pubblico impiego, si sono trovati in carico un diniego motivato da fattori riqualificabili a professionisti del settore, quali avvocati o giuristi specializzati che hanno ottenuto la qualifica dopo anni di studi specifici. Chiaramente se il legislatore avesse voluto circoscrivere l’attuabilità solo a determinate figure professionali avrebbe certamente a priori escluso pubblici dipendenti o comunque soggetti laureati e specializzati in settori discosti dalla materia giuridica.

Alla luce di quanto esposto, si richiede di conoscere quali iniziative od orientamenti specifici si voglia assumere al fine di chiarire la compatibilità della funzione di mediatore presso gli organismi autorizzati con quella di pubblico dipendente, per evitare, in assenza di disposizioni contestuali sui requisiti tecnici, prese di posizione delle amministrazioni del tutto personalizzate, drasticamente unilaterali e dissimili da un ufficio all’altro. Appare chiaro quanto sia necessaria una direttiva chiara e trasparente allo scopo di uniformare appieno le delibere espresse dalle singole amministrazioni nella trattazione delle istanze di autorizzazione.

CONCLUSIONI:

la nota chiarificatrice numero 3357/2012 emessa da codesto dipartimento, alla luce delle congiunture opposte dalle amministrazioni ai dipendenti che hanno proposto istanze di autorizzazione, non serve minimamente ad inquadrare la posizione con chiarezza e non appare una nota che possa apportare finalmente una risoluzione concreta e conclusiva alla tematica.
L’esame della delucidazione offerta da codesto dipartimento, delucida solamente che anche il pubblico dipendente può richiedere l’autorizzazione per esercitare l’attività, lasciando tutti i requisiti tecnici in un anfratto oscuro e nebuloso in carico alla pura arbitrarietà e discrezionalità della singola amministrazione che certo non può migliorare in alcun modo la propria cognizione sulla tematica in assenza di un orientamento chiaro (visionando poi i dinieghi di tutte le altre amministrazioni..). Si presume pertanto che niente cambierà senza una direttiva, che le prese di posizione saranno ancora drasticamente unilaterali e improntate ancora al totale diniego con il prologo delle motivazioni tecniche sopra citate.
La presente non vuole essere un incitazione di parte volta ad ottenere obbligatoriamente un’apertura positiva al regime autorizzatorio, ma vuole essere una presa di coscienza dello stato attuale rivolta al miglioramento, all’evoluzione, in un contesto propositivo di crescita collettiva.

Nel concreto si richiede una pronta nota tecnica di delucidazione comprendente i requisiti tecnici della compatibilità e dell’effettiva facoltà di esercizio del pubblico dipendente, estesa sia ai dipendenti ad ordinamento civile che a quelli ad ordinamento militare con una precisa chiarificazione per il personale appartenente alla Polizia di Stato.

Allegati: in allegato un esempio di risposta negativa significando che le risposte sono allineate per tutte le amministrazioni con le medesime modalità, medesimi elementi di diniego per ogni tipologia di dipendente.

Di: Massimiliano Acerra. www.doppiolavoro.com

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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