L’editoriale di Marino D’Amore

Le vicende di Banca Etruria hanno occupato in questi giorni tutti i telegiornali, i salotti televisivi, le colonne dei quotidiani; mobilitando la quasi totalità degli organi d’informazione, impegnati a documentare uno dei più grandi scempi della storia italiana recente. Anche questa volta, come successe per la Cirio e la Parmalat qualche anno fa, centinaia di persone hanno visto azzerati i risparmi di una vita, depredati nell’arco di una notte. I vari analisti, economisti, esperti del settore hanno elargito spiegazioni piene di tecnicismi e dinamiche economico-bancarie incomprensibili ai più, ma funzionali a creare, in alcuni casi, una coltre di fumo sulla realtà.
Una realtà che ha un solo nome: furto. Sì perché di questo si tratta. Un furto nel senso più ampio del termine. Coloro i quali si sono resi autori di questo atto deprecabile lo hanno fatto consapevolmente, sapendo di approfittare dell’ignoranza, e per ignoranza intendo non conoscenza della situazione, dei loro interlocutori; di tutti quei risparmiatori in buona fede che sono stati derubati. I dibattiti televisivi sono sicuramente utili a capire i processi strettamente finanziari dietro questa vicenda, ma alla gente comune poco importa; ciò che veramente interessa è l’essere stati privati, oltre che dei risparmi, anche del proprio futuro. Questo è davvero grave.
Nessuno, in uno stato moderno, dovrebbe arrogarsi questo diritto, ossia la facoltà autodeterminata di togliere a un proprio simile quel futuro che ha guadagnato con sacrificio e onestà. È vergognoso e inaccettabile. etruria proteste
Alle persone che non arrivano alla fine del mese, che hanno messo i soldi da parte per i propri figli o per una personale e sacrosanta, tranquillità non occorre tutto questo “ciarlare”, a loro serve solo riappropriarsi del proprio avvenire. Non è retorica o demagogia spicciola, ma solo la registrazione di un dato di fatto, della realtà.
Le persone che hanno concepito, pianificato e attuato tutto questo hanno messo a repentaglio il rapporto fiduciario che ci dovrebbe essere tra il cittadino e le istituzioni, perché un misfatto del genere si poteva prevedere ed evitare, ma invece si è permesso che i truffatori portassero a compimento il loro piano fino alla sua estrema conclusione: prendere il bottino e scappare. Ora a prescindere dal coinvolgimento del mondo della politica, del conflitto d’interessi di alcuni esponenti delle istituzioni, elementi d’indagine che eventualmente la magistratura appurerà, sembra opportuno porre sul tavolo una questione di coscienza. Come è possibile che degli individui, o sedicenti tali, abbiano potuto commettere uno scempio simile, in modo reiterato nel tempo, aumentandosi lo stipendio con tanto di benefits, speculando sulle tasche di ignari risparmiatori? Dov’era l’Europa? Come è possibile che nessun organo di controllo abbia posto un freno? Dov’era la classe dirigente che concepisce le leggi di stabilità e che si dovrebbe occupare del benessere sociale, e quindi anche economico, del proprio elettorato? Come si possono “sopportare civilmente” gli stipendi, i vitalizi, le pensioni d’oro dei politici, retribuzioni tra le più alte del mondo, davanti a una situazione di questo tipo? Nemmeno il suicidio di un povero pensionato serve a far capire il peso drammatico di un evento del genere? Qualche anno fa sarebbe stato impensabile credere che la seconda Repubblica facesse rimpiangere la prima. Il rinnovamento che avrebbe dovuto rappresentare quel 1992, l’anno dell’inchiesta tangentopoli, si è trasformato in uno squallido reiterarsi di quelle dinamiche clientelari, dei nepotismi che rendono, ancora oggi, la legge “uguale” solo per alcuni.
I concetti fondamentali che si perdono nel mare di analisi, dibattiti, dichiarazioni che avvolgono questa vicenda sono quelli della responsabilità, della coscienza personale, del rispetto della dignità umana che molte, fortunatamente non tutte, delle persone che ci rappresentano nelle stanze del potere hanno smarrito o non hanno mai avuto. La buona politica è fatta soprattutto di queste prerogative contestualizzate nel titolo di onorevole che accompagna i nomi di chi, come rappresentante del popolo, è stato scelto tra tanti, eletto per il suo valore e la sua onorabilità. Ma oggi alla luce della gravità dei fatti tutti questi valori e quello stesso titolo sono stati svuotati dei loro significati. Riflettiamo attentamente su tutto questo. Su dove ci ha portato e dove ci condurrà. L’atto infame che è stato perpetrato pone necessariamente una questione morale, di coscienza. Forse la pone solo per alcuni perché chi ti ruba il futuro la coscienza non ce l’ha.

16/12/2015

banca etruria

Avatar

Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

Lascia un commento