1447743343_parigi-600x335

La Francia è di nuovo sotto attacco e, purtroppo, è costretta a piangere altre vittime innocenti. Venerdì scorso si è consumata una nuova strage a Parigi che ha ucciso delle persone immerse nella loro quotidianità: non si può morire mentre si mangia in un ristorante, si vede un concerto o si sta per assistere a una partita di calcio. Tutto questo non è concepibile. Ognuno di noi ha rivolto un pensiero o una preghiera alle vittime, alle loro famiglie, al popolo di Parigi che vede minata la propria libertà, quella più semplice e irrinunciabile, quella di vivere la propria vita senza paura di non tornare più a casa. Qualsiasi sentimento di dolore e indignazione è comprensibile e condiviso, ma non deve evolversi in una sorta di rabbia cieca che abbandona ogni forma di razionalità. Una via sicuramente difficile da percorrere, ma forse l’unica che possa avvicinarci a una soluzione possibile.
Dopo l’ennesima strage di Parigi in pochi mesi si parla di guerra. La guerra, tuttavia, oltre a essere una delle più deprecabili manifestazioni umane, deve avere alla sua base precise ragioni sociali, politiche e economiche che la giustificano, per quanto si possa farlo, altrimenti diventa un inutile massacro che si aggiunge agli altri per cui ci si indigna e si combatte. Bombardare con i droni il Medio-Oriente uccidendo anche dei civili innocenti non è meno barbarico di un atto terroristico. Un padre siriano, libico, afghano che piange il proprio figlio vale meno di uno europeo? Inoltre è vergognoso strumentalizzare tali eventi per fini politici di mero consenso elettorale: i vari proclami che sentiamo in questi giorni nei telegiornali, nei dibattiti televisivi, sui social che definiscono la strage come “un attacco all’umanità” o “un atto di guerra” tentano di nascondere, sotto una fitta coltre di demagogia, ciò che non si è fatto e quello che ancora non si fa per porre rimedio al problema. Ad esempio diventa necessario costituire una rete internazionale d’intelligence coordinata e in costante comunicazione che applichi azioni preventive, di controllo e monitoraggio efficaci, dato che quella francese negli ultimi dieci mesi non è riuscita a evitare quattro attacchi (Charlie Hebdo, Lione, il treno Parigi-Amsterdam e quello dello scorso venerdì) che ne hanno evidenziato la forte impreparazione rispetto a certi eventi. Combattere il traffico d’armi diventa una priorità inderogabile dato che la maggior parte degli equipaggiamenti dei miliziani appartenevano all’esercito libico, forniti dagli Stati Uniti al tempo del Rais Gheddafi. Stessa provenienza per i Pick-up Toyota con cui percorrono le strade delle città che conquistano. Kissinger, il noto statista e segretario di stato sotto la presidenza Nixon, affermò” I nemici degli Usa non saranno sempre nemici, ma alla luce di evoluzioni geopolitiche possono diventare amici o addirittura alleati.”
parigi marino
Altro aspetto molto importante da tenere in considerazione riguarda il monitoraggio dei flussi migratori, i cosiddetti barconi che approdano costantemente sulle nostre coste possono rappresentare un pericoloso veicolo per potenziali terroristi, ma non bisogna commettere generalizzazioni superficiali: molti di coloro che arrivano sono persone che scappano da quello stesso pericolo che temiamo tutti noi, i rifugiati che cercano asilo vanno aiutati non demonizzati, aiutati però con azioni concertate a livello internazionale. Oggi, ripeto, si parla di guerra, tuttavia la guerra non è sempre una soluzione. Una guerra, come detto, necessita di particolari presupposti, implica che si pensi a un “dopo”, a cosa succede alla fine del conflitto, ecco perché, a volte si tenta di percorrere la via del concordato e della diplomazia secondo le situazioni. Anche perché combattere il terrorismo significa soprattutto prevenirlo, specialmente quando è presente e attivo sul nostro territorio. Come recentemente ha dichiarato l’ex primo ministro inglese Blair attaccare l’Iraq e l’Afghanistan dopo l’attentato alle torri gemelle è stato un grande errore. Blair ha affermato che, oltre a appurare la mancanza delle tanto temute armi di distruzioni di massa, un tale atto ha destabilizzato un contesto sociopolitico tenuto in pugno da regimi dittatoriali sedimentati negli anni e nel territorio, uno scossone che, ammantandosi di democrazia, ha celato altri interessi di natura economica e politica che hanno causato, a loro volta, reazioni di tipo terroristico come quelle di Al-Qaeda e Isis. Ora abbandonando forme di dietrologia che ci conducono addirittura alle crociate, l’intervento occidentale in Medio-Oriente viene percepito come un invasione non legittima dagli abitanti di quelle terre e certe forme di reazioni, per quanto esecrabili e senza giustificazione, nascono da questa prevaricazione. Mobilitare un popolo e indurlo a demonizzare l’altro per giustificare una guerra è una pratica spesso usata in passato, I media sono uno strumento molto utile per il raggiungimento di un tale scopo: l’attentato alle torri gemelle ha agito in questo senso e speriamo che i fatti di Parigi non ne rappresentino una moderna riedizione, causando ghettizzazione e discriminazione nei confronti di chi appartiene a una religione diversa a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Il passo è tanto breve quanto pericoloso. Anzi sarebbe opportuno cercare una collaborazione, un dialogo con l’Islam moderato finalizzata all’individuazione di eventuali focolai integralistico-terroristici.
La drammaticità devastante della strage copre sotto una fitta e sapientemente gestita comunicazione mediatica ciò che avviene in quelle terre, le reali dinamiche militari e politiche che modificano costantemente i ruoli delle parti in gioco. Inoltre un tale modus operandi offusca altre stragi altrettanto drammatiche come quelle del campus universitario in Kenia o l’attentato in Nigeria che ha causato migliaia di vittime. Eventi che evidentemente non hanno la stessa importanza per le politiche europee e mondiali. Tuttavia la realtà o qualsiasi teoria complottista non riporta in vita uomini e donne uccise senza motivo, con crudele freddezza e tragica pianificazione, sorpresi nella loro quotidianità, in un modo che mina anche la nostra e ci fa sentire ogni giorno meno sicuri. Ogni analisi o valutazione perde ogni valore davanti a quelle vittime e ci fa solo sperare che tutto questo finisca il prima possibile.
01/12/2015
Dott. Marino D’Amore

Avatar

Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

Lascia un commento