La svolta del dopo-Raciti boicottata da interessi politici ed economici

Diradatosi il polverone delle cariche assassine dei tifosi a Catania, sul terreno rimaneva il corpo di un poliziotto l’ispettore capo Filippo Raciti e lo sdegno di tutto il paese. Questo il quadro della situazione, la notte del 2 febbraio scorso, quando tutto il Paese reagiva da par suo, si udiva, finalmente, la voce del ministro dell’Interno “ombra” Amato, ed il leader tuonava: “Stop al calcio”.

Così il 3 febbraio tutti gli italiani e le italiane sedotte dal calcio apparivano come un popolo in attesa dell’armageddon, diviso nell’amore per quel mondo esaltante, ma inquinato dalla violenza, ed un periodo chissà quanto lungo di vita in un pianeta senza football e qualcuno già vagliava il panorama sportivo per individuare qualche altra passione più sana di un malato, corrotto e violento gioco di pallone.

Questa era l’Italia dell’immediato dopo Raciti, sradicare la violenza in quelle ore appariva persino più importante del decorso dell’indagine di polizia volta all’identificazione dell’assassino dell’ispettore di polizia, quel 3 febbraio il calcio si fermava.

Gia il giorno dopo l’armageddon era diventato uno tsunami e poi a seguire nel corso dei giorni divenne, un uragano, una tempesta, un vento forte, una leggera brezza per trasformarsi l’otto febbraio nel decreto Amato ossia un alito di vento fra i capelli.

Un decreto legge, che a fronte dell’episodio più grave mai verificatosi in occasione di un evento sportivo, sentenziava che la legge penale va rispettata anche dalle società di calcio, una svolta epocale che si assomma a quella dell’obbligo del rispetto della legge amministrativa, che negli anni scorsi gli impose di pagare l’Irpef e le tasse in genere e poi il tentativo nell’estate scorsa di imporgli anche una legge non scritta di etica sportiva.

Questo per dire che certi settori che smuovono le masse in questo paese godono di sospensioni di legge intollerabili, ed è difficile non imputare tutto ciò ad un settore che delle masse ha esiziale bisogno: la politica.

Quella politica, chiamata a varare un decreto, che inaspriva le leggi e disarmava i violenti. Così non è stato perché. Le condizioni di sicurezza degli impianti, non sono estendibili, per costi e logistica, agli stadi più piccoli; il divieto di trasferte organizzate, è cancellato dalla possibilità di acquistare più biglietti, fino a 10, per singolo tifoso, inoltre il gruppo organizzato è di facile identificazione per le forze dell’ordine e quindi controllato preventivamente; il Daspo, inasprito da 6 mesi ad un anno nella pena minore, rimane un provvedimento inefficace di denuncia a piede libero, le comunicazioni dei nominativi delle associazioni che ricevono favori dalle società di calcio non consentiranno il controllo dei tagliandi venduti. Inoltre, dal decreto legge, non si evince chiaramente a chi siano in carico le spese per la messa a norma degli impianti e poi le iniziative scolastiche di valorizzazione della cultura sportiva come sancito dalla carta Olimpica ed il codice di autoregolamentazione dei giornalisti radiotelevisivi appaiono come riempitivi per far si che si potesse arrivare almeno a 13 articoli.

Sono rimasti irrisolti tutti i temi importanti ossia le nostre strategie di ordine pubblico e le dotazioni di mezzi sono idonee al risultato che devono garantire? E’ corretto che soldi e risorse pubbliche siano messe a disposizione di spettacoli privati? Le società di calcio devono contribuire alle spese di sicurezza o dotarsi di società private e risorse interne? Sia utile alla crescita della cultura sportiva il mantenimento di gruppi organizzati di tifosi? Fanno parte dello spettacolo gli striscioni a volte simpatici nella quasi maggioranza demenziali e razzisti esposti sulle tribune? Solo alcuni dei quesiti che sono rimasti senza soluzione, una volta diradatosi il polverone delle cariche assassine dei tifosi a Catania.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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