La letteratura scientifica riferisce che nello stalking il numero oscuro è molto elevato. Solo una parte delle molestie assillanti viene infatti pubblicizzata da chi le subisce. Moltissime delle persone che ci circondano hanno avuto probabilmente nella loro vita qualcuno che non ha “digerito” la separazione e che ha tentato di riavvicinarsi, a volte anche in maniera insistente, molesta e sgradita. Ovviamente solo in un numero ridotto di casi questi comportamenti sono stati percepiti come stalking. Su tale fenomeno permane comunque una notevole confusione. In primo luogo sul genere degli stalker e delle vittime.

Nella maggior parte degli articoli divulgativi sul fenomeno stalking e purtroppo anche su diversi articoli scientifici si tende ad esempio a connotare lo stalker come maschio e la vittima come femmina.

In realtà, coloro che possiedono anche solo un’infarinatura di cultura criminologica e in genere sulle Scienze Sociali dovrebbero affermare che lo stalker si manifesta statisticamente maggiormente come uomo e la vittima si manifesta statisticamente maggiormente come donna. La cosa quindi è ben diversa. La riluttanza a pubblicizzare il fatto da parte dei soggetti maschi attraverso una denuncia, o la diversa interpretazione/significazione di un comportamento (più o meno molesto) è ovviamente soggettiva e legata alla cultura di “genere”. E’ notorio che i maschi vengono educati con principi culturali diversi rispetto alle femmine e spesso se si trovano una ex fidanzata sotto casa non fanno denuncia ma si vantano del fatto con gli amici al bar. Diversi modelli culturali influiscono quindi sul livello di emersione di un fenomeno all’interno di generi diversi.

Da Psicologo e da ricercatore sociale ritengo che se lo stalking è legato alla difficoltà di rielaborazione del lutto e alla bassa autostima e se tale difficoltà è equidistribuita tra maschi e femmine, evidentemente le vittime e gli autori di stalking potrebbero essere in percentuale del 50% tra maschi e femmine.

Ma certamente le statistiche giudiziarie che riportano solo i reati scoperti (denunciati) e oggetto di procedimento penale non potranno mai darci una risposta. Un questionario anonimo distribuito a un campione randomizzato di popolazione forse potrebbe darci interessanti sorprese in merito.

Un altro elemento di confusione è generato a mio avviso dal mettere sempre in correlazione le violenze domestiche e lo stalking: il rischio di una confusione semantica, epistemologica, investigativa e clinica è assai frequente. Associare in modo lineare la violenza (fisica) sulle donne al fenomeno stalking è a mio avviso pericolosissimo. Una persona gretta e violenta per colpire un ex partner può agire comportamenti aggressivi, una persona intelligente e pianificatrice può agire comportamenti non violenti e più sottili. Stiamo inoltre assistendo a una clinicizzazione esasperata del problema stalking. Non c’è tesi di laurea in area psicologica che non contenga una parte predominante nell’elaborato dedicata alla psicopatologia dello stalker.

Non c’è letteratura scientifica recente in cui lo stalking non è correlato a disturbi di personalità gravi. Questa clinicizzazione è forse eccessiva. Moltissimi/e stalker risultano assolutamente normali. Alcune recenti sentenze in effetti hanno infine generato notevoli perplessità, sia rispetto a un eccessivo rigore su comportamenti poco gravi che rispetto a una insufficiente tutela della vittima da comportamenti obiettivamente persecutori. Insomma, al di la delle ipocrisie mediatiche nei talk show forse sarebbe il caso di interrogarci se sul fenomeno stalking stiamo prendendo la strada giusta e se stiamo costruendo gli strumenti giuridici realmente efficaci per risolvere il problema.

Il criminologo Marco Strano

di Marco Strano, Comitato Scientifico Associazione ARGOS – Forze di Polizia, onlus

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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