Il termine inglese stalking deriva dall’inglese “to stalk”ed etimologicamente è un termine proprio della caccia, in quanto significa “appostarsi”, “avvicinarsi alla preda di nascosto”.

In campo giuridico è stato utilizzato per riferirsi alla c.d. “sindrome del molestatore assillante”, intendendosi con tale terminologia un insieme di comportamenti, molesti e continui, costituiti da comunicazioni intrusive (quali telefonate e lettere anonime, biglietti, sms ed e-mail, invio di fiori ecc.) o da condotte volte a controllare la propria vittima con reiterate intrusioni nella sua sfera privata alla ricerca di un contatto personale ( ad es. pedinamenti, appostamenti, sorveglianza sotto casa, frequentazione degli stessi ambienti della vittima, violazione di domicilio, minacce di violenza, aggressioni, omicidio o tentato omicidio ) o da atti persecutori posti in essere attraverso l’uso della rete, social network, ecc. ( c.d. cyberstalking).

In altre parole, una violazione continua e sistematica della libertà personale, che statisticamente colpisce di gran lunga le donne. Nello specifico, il 55% dei casi riguarderebbe le relazioni di coppia, il 25% le questioni condominiali e il 20% circa le relazioni nate sui luoghi di lavoro, scuola ed università.

Nel 2008 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge recante “Misure contro gli atti persecutori”. Successivamente, è stato approvato il decreto legge del 23 febbraio 2009 n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori) con cui è stato istituito il reato di stalking (atti persecutori), mediante l’inserimento dell’articolo 612 bis del codice penale.

Tale decreto legge è stato, poi, convertito, con modificazioni, nella legge del 23 aprile 2009 n. 38.

Il citato articolo 612 bis , inserito nel titolo XII – delitti contro la persona – sezione III – dei delitti contro la libertà morale – del c.p. , prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni“.

Merita, al riguardo, di essere citata una recente sentenza (depositata in data 13 gennaio 2012) della Corte di Appello di Milano, sezione V penale, secondo cui il delitto de quo deve essere qualificato come fattispecie causale, caratterizzata da condotte alternative e da eventi disomogenei, ciascuno dei quali idoneo ad integrarla, i quali devono essere oggetto di rigoroso e puntuale accertamento da parte del giudice. In particolare, l’evento consistente nel “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona […] legata [all’agente] da relazione affettiva” dovrà essere desunto da una ponderata valutazione della gravità delle condotte e della loro idoneità a rappresentare una minaccia credibile di un pericolo incombente; mentre l’evento alternativo consistente nel “grave stato di ansia o di paura” andrà identificato in una condizione emotiva spiacevole, accompagnata da un senso di oppressione e da una notevole diminuzione dei poteri di controllo volontario e razionale, che deve essere grave e non passeggera e potrà assumere rilevanza penale anche se non si traduce in precise sindromi canonizzate dalla scienza medico-psicologica.

La pena edittale prevista, consente al giudice, servendosi dei criteri stabiliti nell’art.133 c.p.p., di calibrare al meglio il trattamento sanzionatorio in relazione alle variegate forme di molestia poste in essere nonché alle caratteristiche psicologiche del reo.

Inoltre, la previsione di un tetto massimo di pena stabilito in quattro anni, permette, laddove richiesto da esigenze cautelari specifiche, l’applicazione delle misure cautelari personali, inclusa la custodia cautelare in carcere (art.280 c.p.p.).

Qualora, poi, il giudice irrogasse una pena superiore ai tre anni, il condannato non beneficerebbe né della sospensione condizionale, né dell’ammissione a misure alternative alla detenzione.

Il legislatore ha previsto, altresì, delle ipotesi aggravate che si realizzano alla presenza delle seguenti circostanze:

– se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa;

– se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 L. n. 104/92, ovvero con armi o da persona travisata.

In tale caso la pena è aumenta fino alla metà.

Sempre in tema di circostanze aggravanti, la nuova formulazione dell’art. 576 c.p. prevede l’applicazione della pena dell’ergastolo, qualora il reato di omicidio sia stato preceduto da quello di cui all’art. 612 bis c.p., cioè in concreto, da reiterate condotte di minacce o molestie a danno della parte offesa.

Il reato de quo è procedibile a querela, ma con una rilevante deroga agli ordinari limiti temporali di proposizione: sei mesi. Tale dilazione va valutata sempre in chiave di sostegno alla vittima, giustificandosi con la particolare attenzione rivolta dal legislatore allo stato psicologico della persona offesa e alla delicatezza del rapporto con il molestatore. ( vds. F.Bartolini, Lo stalking e gli atti persecutori nel diritto penale e civile. Mobbing, molestie, minacce,violenza privata, La Tribuna, 2009, p. 4)

Per quanto concerne la decorrenza del termine per la proposizione della querela, trattandosi di reato abituale, nel quale non coincidono momento di consumazione e di perfezione del reato, il termine non scadrà, comunque, prima di sei mesi dalla data in cui si è verificato l’ultimo della serie di atti che integrano la condotta (stessa cosa vale per la prescrizione). (vds a. Valsecchi, “In tema di Stalking”, in Diritto penale contemporaneo, 15 dicembre 2010)

Può, tuttavia, procedersi d’ufficio, quando il fatto viene commesso nei confronti di un minore di età oppure di una persona con disabilità (L. 104/1992), nonché quando il fatto viene connesso con altro delitto per cui debba procedersi d’ufficio.

E’, altresì, procedibile d’ufficio quando il soggetto sia stato ammonito ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 8 del D.L. n. 11/2009, convertito in L. n. 38/2009, secondo cui fino a quando non viene proposta querela per il reato di stalking la persona offesa ha facoltà di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta.

La richiesta avanzata viene, quindi, trasmessa, senza ritardo, al questore, il quale, assunte, ove necessario, le informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, nel caso in cui ritenga l’istanza fondata, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento.

Lo invita, quindi, a tenere una condotta conforme alla legge e redige, di ciò, processo verbale; copia di tale verbale viene rilasciata sia a chi richiede l’ammonimento sia al soggetto ammonito.

Avv. Roberta D’Amore

16 Novembre 2012

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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