I casi della direttiva aria e della direttiva acqua

La politica ambientale europea trova la sua base giuridica nel Trattato istitutivo della Comunità Europea (ora Unione Europea) che attribuisce all’UE il compito di promuovere nell’insieme degli Stati membri un livello elevato di protezione dell’ambiente e della salute umana e un’utilizzazione sostenibile delle risorse naturali. Per il conseguimento di tali obiettivi, la Commissione europea utilizza un mix di strumenti legislativi e non legislativispecifici, accompagnati dall’integrazione della tutela ambientale nelle altre politiche comunitarie, quali ad esempio la politica agricola comune, quella energetica e quella dei trasporti.

A titolo esemplificativo dell’approccio legislativo adottato, e del suo impatto sulla legislazione nazionale degli Stati membri, possono essere citate la direttiva quadro 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria e la 2000/60/CE relativa alle risorse idriche. La ratio legis che sta alla base giuridica delle due direttive è quella della tutela delle risorse ambientali ma anche (e direi soprattutto, nel caso della direttiva sulla qualità dell’aria) la difesa della salute umana dalle conseguenze causate dall’inquinamento ambientale. Caratteristica comune alle due direttive è anche il carattere transfrontaliero dei problemi affrontati, dato che aria e acqua (a differenza dal suolo) sono risorse naturali il cui inquinamento difficilmente si ferma alla dogana o ai posti di frontiera, con la conseguenza che le emissioni inquinanti spesso producono i loro effetti su una scala che è più vasta di quella nazionale, e magari in un Paese diverso da quello in cui hanno origine (Paesi “sottovento”, nel caso di inquinamento atmosferico, e Paesi “a valle”, nel caso dell’acqua: il primo caso giurisprudenziale internazionale in materia di diritto ambientale fu quello avviato da organizzazioni non governative olandesi in relazione all’inquinamento del Reno da parte di un Paese a monte dei Paesi Bassi, mentre un contenzioso per certi versi simile ha opposto Canada e Stati Uniti in relazione a un caso di inquinamento atmosferico).

La direttiva 2008/50/CE codifica la legislazione comunitaria esistente in materia di concentrazioni di sostanze inquinanti nell’aria, e in questo senso è una sorta di testo unico in materia di qualità dell’aria. Obiettivo della direttiva è quello di ridurre il tasso d’inquinamento atmosferico a livelli tali da limitare al minimo gli effetti dannosi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso, evitando, prevenendo e riducendo le emissioni di inquinanti atmosferici nocivi. A tal fine, la direttiva stabilisce “valori limite” (giuridicamente vincolanti) e valori obiettivo (non vincolanti) per una serie di sostanze inquinanti. In presenza di un superamento dei valori limite ed obiettivo degli agenti inquinanti, l’obbligo imposto dalla direttiva è quello di adottare dei Piani per la qualità dell’aria, cioè misure strutturate ed integrate tali da consentire il conseguimento dei valori imposti dalla direttiva nel minor tempo possibile. Nel caso italiano la competenza per l’adozione dei suddetti piani spetta alle Regioni.

Le patologie connesse all’inquinamento atmosferico nelle aree più inquinate della UE, che includono la pianura padana, sono causa di una riduzione della speranza di vita media pari a quasi 3 anni, e per il sistema produttivo rappresentano la perdita di centinaia di milioni di giornate lavorative ogni anno (dati consultabili nella valutazione di impatto che accompagna la “strategia tematica sulla qualità dell’aria”). Non solo: l’impatto delle patologie respiratorie riconducibili all’inquinamento atmosferico è tale che ad ogni euro investito nel miglioramento della qualità dell’aria corrisponde un risparmio potenziale di 9 euro in termini di assistenza medica e sanitaria. Essendo la spesa sanitaria una delle voci più gravose nei bilanci delle Regioni italiane e quindi strategiche per il rispetto delle condizioni stabilite dal Patto di stabilità e crescita, la riduzione dell’inquinamento atmosferico può portare anche ad un sensibile contenimento di tali spese. Gli investimenti necessari per ridurre l’inquinamento atmosferico non dovrebbero quindi essere abbandonati o ritardati con la scusa che siamo in un periodo di contrazione economica: al contrario, le ricadute positive di tali investimenti sulla salute umana (oltre ad essere auspicabili a prescindere da ogni valutazione di tipo contabile) possono contribuire ad attenuare le difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi di pareggio di bilancio delle regioni. La diminuzione delle patologie respiratorie riconducibili all’inquinamento (dalle bronchiti croniche all’asma a certe forme tumorali) rappresenta un obiettivo virtuoso in termini economici, oltre ad essere un imperativo morale e un obbligo giuridico (per quanto attiene al rispetto dei valori limite fissati dalla legislazione europea).

Le misure di adeguamento ai valori limite europei dovevano essere adottate entro il 2005. Nel caso italiano lo Stato ha chiesto una deroga alla Commissione europea per quanto concerne il raggiungimento dei valori limite per le PM10 in alcune aree geografiche (Pianura Padana in particolare), ma tale richiesta è stata respinta e all’Italia è stato chiesto di garantire il rispetto dei valori individuati dalla direttiva nelle regioni interessate. A questo punto è probabile un ricorso alla Corte di Giustizia europea, con il rischio che l’Italia possa incorrere nelle sanzioni previste dall’articolo 260 del Trattato (penalità di ritardo per ogni giorno o mese di ulteriore ritardo + importo forfettario dovuto alle conseguenze che l’infrazione ha provocato in passato, determinato sulla base di un coefficiente di gravità dell’infrazione, della durata dell’infrazione e della capacità contributiva dello stato membro).

La direttiva quadro sull’acqua 2000/60/CE mira invece a creare un governo sostenibile delle risorse idriche europee e a risanare le situazioni di inquinamento entro il 2015 attraverso il raggiungimento di obiettivi qualitativi che la direttiva impone di rispettare sia per le acque superficiali interne (fiumi e laghi) sia per quelle di transizione (lagune) e costiere, sia ancora per le acque sotterranee (falde acquifere), la cui disponibilità è messa in crisi dal continuo aumento della richiesta di acqua dolce per fini civili (acqua potabile) e produttivi. I valori limite dovranno essere raggiunti entro il 2015; lo strumento per conseguire tale obiettivo sono i “piani di bacino idrografico” che la direttiva ha reso obbligatori dal dicembre 2009, e che dovranno concretizzarsi in un programma di misure per ognuno dei bacini idrografici in cui il territorio della UE è stato suddiviso, ai fini dell’applicazione della direttiva. Mentre per la qualità dell’aria la competenza spetta (in linea di principio) ad agglomerazioni coincidenti con la suddivisione amministrativa in essere all’interno di ogni Stato membro, la definizione di “bacino idrografico” non coincide con le frontiere amministrative interne agli Stati membri, e ha portato ad una intensificazione della cooperazione transfrontaliera che la direttiva stessa rende obbligatoria, laddove un corso d’acqua attraversa più Stati membri. Questo modello europeo di gestione delle risorse idriche (particolarmente articolata nel caso del Reno e del Danubio, che attraversano un numero elevato di Paesi) è spesso citato come esempio virtuoso da imitare, con gli eventuali aggiustamenti, anche in altri contesti geografici che più ancora dell’Europa rischiano di conoscere conflitti (economici e non solo) legati alla criticità delle risorse idriche rispetto alle necessità sempre crescenti che derivano dallo sviluppo economico e demografico dei Paesi emergenti.

L’acqua sarà un elemento strategico di questo secolo, sia in materia di governo locale che di strategie geopolitiche. Un celebre quotidiano ha recentemente pubblicato un editoriale in cui si sostiene che se l’espansione territoriale è stata l’obiettivo prevalente di ogni guerra fino al XIX° secolo, e a tale obiettivo si è progressivamente sostituito quello del controllo delle fonti di petrolio, i conflitti armati del XXI° secolo rischiano invece di scoppiare per il controllo delle fonti idriche. Dell’acqua presente sul pianeta, il 97% è acqua salata, mentre il 3% di acqua dolce teoricamente utilizzabile conosce una ripartizione geografica asimettrica (con una netta prevalenza ai poli) rispetto alla mappa dello sviluppo demografico. L’acqua infatti non è soltanto una risorsa necessaria ad ogni forma di sviluppo economico (dall’agricoltura alla produzione di energia idroelettrica al raffreddamento delle centrali nucleari, per fare soltanto alcuni esempi) ma è anche la condizione necessaria a qualunque forma di vita (animale o vegetale), e la rarefazione delle riserve di acqua dolce, combinata con la crescita demografica e il cambiamento climatico che accentueranno gli squilibri già esistenti, andrà a colpire alcune delle zone più densamente popolate (e a più alto rischio di conflitto) del pianeta. Tutto questo, sommato alle tensioni etniche e religiose già esistenti in tali aree geografiche, rischia di creare un cocktail esplosivo per gli equilibri già fragili del medio oriente e di vaste regioni dell’Asia. Guardare all’esempio dell’integrazione europea, e ai 50 anni di benessere che questa ha offerto nella pacifica convivenza dei suoi popoli (pur cosí diversi per lingua e cultura), potrebbe allora diventare una fonte di ispirazione utile anche in materia di gestione integrata delle risorse idriche.

Marco Gasparinetti (Commissione europea, Direzione generale ambiente).

Le opinioni espresse nell’articolo non vincolano la Commissione europea e non rappresentano in alcun modo una posizione ufficiale dell’Istituzione di appartenenza.

Articoli 192 e 193 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che hanno sostituito (con lievi modifiche) gli articoli 175 e 176 del Trattato istitutivo della Comunità europea.

Direttive e regolamenti.

Quali ad esempio l’utilizzo degli appositi fondi comunitari, la promozione di codici di buona condotta e altre iniziative prive di carattere cogente.

Direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008 , relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, in Gazzetta Ufficiale L 152 dell’ 11.6.2008.

http://ec.europa.eu/environment/archives/cafe/general/pdf/map_pm.pdf

Tabella allegata, dati in grassetto, tratti da: http://ec.europa.eu/environment/archives/cafe/general/keydocs.htm

Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, in GU L 327 del 22.12.2000.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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