Negli ultimi tempi il pubblico ha iniziato ha considerare con qualche preoccupazione il modo con cui i pubblici ministeri gestiscono le indagini penali. Troppi sono i casi di indagini, enfatizzate dai mass media, in cui ogni dovere di tutela della privacy e degli indagati, ogni dovere di riservatezza sugli atti di ufficio, viene ignorato; troppi casi di arresti e detenzioni in carcere non giustificate dalle norme di legge, talvolta emesse da PM incompetenti; troppe le intercettazioni che finiscono sui giornali, troppi i casi in cui si vede che gli inquirenti brancolano nel buio senza una meta.
I problemi sono iniziati quando il legislatore, nel 1989, ha avuto la bella pensata di stabilire che le indagini vengono dirette dal PM. Vale a dire che improvvisamente ci si è trovati di fronte a giovani madri appena uscite dal concorso, a giudici che non avevano mai visto un morto o un delinquente in vita loro, a giudici civilisti passati a fare i PM, i quali dovevano guidare nelle indagini marescialli e commissari con vent’anni di esperienza sul campo. I più intelligenti hanno continuato ad affidarsi a loro, ma molti hanno creduto che fosse sufficiente aver letto il codice di procedura penale! Il che vuol dire privilegiare la forma sulla sostanza e far venir meno quella forma di controllo che vi era quando il PM aveva il compito non di dirigere, ma di controllare. La conseguenza è stata che le smanie di protagonismo, la convinzione di far carriera in base alla determinazione mostrata, hanno iniziato a prevalere.
Casi recenti, ad esempio, hanno mostrato come sia stato spesso violato il principio per cui, per poter mettere in carcere una persona occorrono sufficienti indizi. E così abbiamo visto che alcuni PM confondono la gravità degli indizi con la gravità dei sospetti. Gli indizi servono a ricollegare un sospetto ad un reato, ma prima di tutto bisogna che sia certo il reato; occorrono gravi indizi di responsabilità, non gravi indizi che un reato sia stato commesso! Ed invece si sospetta che dei bambini siano stati uccisi e si mette in carcere un poveretto sospettato di averli uccisi. Come dire: si finisce in carcere per il sospetto di un sospetto! Oppure: si sospetta che alcuni giovani abbiano ucciso una persona, ma non si sa perché e chi sia stato ed in concorso con chi: ebbene, finiscono tutti in carcere perché si ignora il principio che se vi sono due soggetti egualmente indiziati, ma non si sa quale sia il vero colpevole, gli indizi non possono essere “gravi” per nessuno dei due; un indizio al 50% è, per definizione, insufficiente.
Eppure queste regole logiche vengono spesso superate, il che fa pensare che si sia tornati nuovamente al vecchio sistema di usare il carcere come mezzo di pressione sui sospettati.
Altro aspetto evidente dei limiti dei metodi di indagine è nel rapporto tra PM e periti.
Da un lato si vede come i PM, che vedono molti filmetti americani, ma leggono pochi trattati di scienze forensi, siano affascinati dalla prova scientifica, tanto da lasciar pensare che essi abbiano rinunziato ad usare la prova logica. Il loro comandamento è “non avrai altra prova che il DNA”! Ma la prova scientifica, senza l’intuito umano, senza le capacità deduttive, senza l’esperienza, ha molti limiti, come già spiegava persino Sherlock Holmes.
Dall’altro si vede come i PM non abbiano compreso che una prova scientifica valida la può portare solo un perito che sia un luminare; è evidente a tutti che i PM chiamano a fare perizie importanti il primo medico legale che si trovano a portata di mano o i vari laboratori di Carabinieri e Polizia, buoni per le cose di routine, ma del tutto impreparati a casi complessi, che richiedono conoscenza della letteratura internazionale e capacità speculativa ed esperienza universitaria (a parte l’evidente pericolo di atteggiamento prevenuto, quando a fare gli accertamenti tecnici è lo stesso organo di polizia che indaga; ma pare proprio che il caso Marta Russo non abbia insegnato nulla a nessuno). Quando sulla scena del delitto si fanno cinque o sei sopralluoghi, vuol dire che il primo è stato fatto male; quando si cerca di stabilire l’ora del delitto dopo sei mesi, vuol dire che il primo medico legale ha lavorato male; quando si deve fare una superperizia, vuol dire che il primo perito era stato scelto male. E comunque le prove tecniche devono essere inquadrate in un quadro logico complessivo privo di contraddizioni, tenendo presente ogni elemento di indagine acquisito, il che è compito delicato non affidabile di certo a tecnici di laboratorio.
Non meno preoccupante la “deriva” del GIP; questi, nel corso delle indagini preliminari ha la funzione di controllare che il PM non leda i diritti principali dell’indagato: che il PM non lo intercetti fuori dei casi consentiti, che la detenzione venga disposta solo in casi di assoluta necessità; il GIP non può disporre una misura cautelare più grave di quella richiestagli dal PM. Eppure è sotto gli occhi di tutti che certi GIP tendono a trasformarsi in giudici istruttori e che talvolta mostrano più accanimento del PM. Si veda il caso dell’interrogatorio di garanzia della persona colpita da misura cautelare; per il codice il GIP dovrebbe limitarsi a chiedere all’indagato se ha qualche cosa da dichiarare a propria difesa e verbalizzare quanto questi ritiene di verbalizzare; ed invece è normale leggere che l’interrogatorio è durato parecchie ore. Ma dove sta scritto che il GIP deve fare l’inquisitore? E dove sta scritto (salvo che in una vecchia decisione della Cassazione!) che il GIP può persino tenere in carcere un indagato che invece il PM, unico a conoscere tutti gli atti del processo, ritiene opportuno liberare?
Ma se così è, è chiaro che il sistema studiato dal legislatore a garanzia del cittadino vacilla notevolmente. Se il PM lavora male, se il GIP invece di controllarne gli eccessi, ne diviene partecipe, è certo che possono solo aumentare gli errori giudiziari, altrettanto deprecabili sia che un innocente venga incarcerato, sia che un colpevole rimanga libero.

Dr. Edoardo Mori
(nella foto Emanuela Mulè nei panni del pubblico ministero Parsi)

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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