Alle Scuderie del Quirinale, nel febbraio dello scorso anno, è stata presentata una mostra pittorica dedicata a Jacopo Robusti detto il Tintoretto, artista la cui statura merita sempre un’attenta riflessione. Già la particolarità del suo soprannome (“Tintoretto”, per essere figlio di un tintore e per la sua bassa statura) conduce la nostra attenzione direttamente alle paste cromatiche utilizzate nelle sue opere.

Attivo nella seconda metà del ‘500, è dopo la morte di Tiziano l’artista principe nella rappresentazione dell’élite Veneziana dell’epoca: rappresenta con fare sobrio, rigoroso e dal decoro formale impeccabile, tra gli altri, dogi ,banchieri , aristocratici . Lo stesso Vasari ne parla come “del più terribile cervello che abbia avuto mai la pittura”: la terribilità del suo gesto stupisce e affascina i suoi contemporanei come anche, nella fortuna successiva, poeti, letterati e filosofi, creando una forte partecipazione emotiva. Goethe e Reynolds, Turner e Dalacroix, Stendhal e Ruskin, Gobetti e Sartre hanno scritto pagine penetranti sull’artista visto come un ispirato precursore della pittura moderna. Se guardiamo al “Miracolo dello Schiavo” (1) .tutta la luce cade sull’uomo nudo al quale stanno per essere cavati gli occhi e spezzati i denti. Interviene allora Marco, il santo, che scende a testa in giù sullo schiavo per porre fine alla tortura. Un’opera che ispirerà Caravaggio ripetendola a modo suo nel “Martirio di San Matteo”. I corpi rappresentati da Tintoretto, come in una quinta teatrale, si avvolgono serpentinati, i colori scuri, spesso plumbei, tradendo il temperamento di un artista che per anni è stato all’ombra di Tiziano, quindi scuro come le sue stesse paste cromatiche, ombroso, burbero e passionale in una sintesi straordinaria tra la plasticità di Michelangelo e il colore del “maestro” Tiziano. Un modo piuttosto felice e non a caso rimasto proverbiale, di definire un mondo poetico fatto di favole drammatiche entro scenografie di luci mutevoli.

Osserviamo un altro esempio della maestria dell’artista: la tela di “Santa Maria Egiziaca”(2), che Tintoretto dipinge per la Sala Terrena della Scuola Grande di San Rocco. Ci accorgiamo che siamo già nella seconda fase del modo di dipingere del pittore, in cui i contorni si sfumano per far posto ad una mistione(miscela) più omogenea tra uomo e natura; la Madonna infatti, intenta a leggere un libro sulla sinistra del quadro, volge ad un certo punto lo sguardo verso il paesaggio, grande protagonista della tela, che la avvolge senza annullarla. La luce lunare che arriva innaturalmente sul quadro, crea un misticismo in cui Maria fa da accordato contraltare di un misticismo sonante.

Se la vera artisticità, come si dice, appartiene alle opere che sanno esprimersi da sole, non c’è quindi da stupirsi, anche solo in seguito a questi brevi accenni , che l’artista abbia riscosso e riscuota tutt’oggi grande consenso di critica e di pubblico.

Jacopo Robusti detto il Tintoretto, “Santa Maria Egiziaca”,1585-1586.

Venezia, Scuola Grande di San Rocco, sala terrena.

Alessia Caruso.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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