I pugni alzati al cielo e gli striscioni dietro ai quali prende volto la protesta non sono prerogativa esclusiva della Val di Susa e così altri NO vengono urlati altrove, a centinaia di chilometri di distanza, nell’assolata Sicilia, dove, dal 2009, il popolo NO MUOS è uscito allo scoperto radunando una schiera d’oppositori, talvolta scomodi anche per le locali amministrazioni di centrosinistra.
Come spesso accade in casi simili, la notorietà dei contestatori prevale sul progetto osteggiato, che nella fattispecie viene genericamente ricondotto ad interessi militari americani. In verità, MUOS è l’acronimo di Mobile User Objective System, cioè un sistema di telecomunicazioni satellitari gestito dalla marina militare statunitense, che a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, ha intenzione d’installare una delle quattro stazioni terrestri, collocando sul quel territorio antenne e parabole di grosse dimensioni. Le ulteriori tre basi saranno dislocate in altre parti del globo – stato della Virginia ed Hawai (USA), Nuova Zelanda – in modo da costituire una rete capillare in grado di gestire tutte le comunicazioni ed i sistemi militari, in particolare le attività svolte dai droni, alcuni dei quali dovrebbero essere destinati alla base militare di Sigonella, in provincia di Siracusa, dove hanno stabilmente sede il 41° Stormo AntiSom, dell’Aeronautica Militare italiana, e la Naval Air Station americana, meglio nota con le sigle NAS oppure NASSIG.

La presenza degli americani in Sicilia da sempre è accompagnata da forti critiche, più o meno esacerbate, mobilitazioni di pacifisti antimilitaristi e prese di posizione, sebbene l’impatto finora sia sembrato contenuto e, comunque, destinato a contribuire alla ricchezza distribuita nella zona. È fuor di dubbio che i due siti in questione rappresentino un punto nevralgico per gli interessi statunitensi, rimodulati in ragione dei nuovi scenari strategici focalizzati sul medioriente.

Di fronte a tale programma di sviluppo, che sarà gestito dalla U.S. Naval Computer and Telecommunication Station Sicily, una buona parte della popolazione locale è insorta non solamente contro lo spirito bellicoso intravisto dietro ai progetti, ma, soprattutto, per contestare i danni ambientali ed alla salute umana che sarebbero provocati dall’applicazione delle nuove tecnologie.

Oltre a difendere il concetto di pace, quindi, un’alzata di scudi per tutelare l’ecosistema e le potenzialità di sviluppo agricolo del territorio, che i NO MUOS ritengono sia seriamente compromesso dalle radiazioni emesse dai sistemi di telecomunicazione. Questa volta, alle tesi antimilitariste sono state anteposte questioni quali il possibile incremento di neoplasie di varia natura, leucemie infantili, sterilità, alterazioni del sistema immunitario, malformazioni fetali, interruzioni spontanee della gravidanza, melanomi, leucemie infantili e molto altro ancora. Secondo i contestatori, infatti, i campi elettromagnetici provocati dalle antenne potrebbero addirittura interferire con le attrezzature elettriche domestiche e con quelle medicali, anche con riferimento ai pace-maker.

Gli statunitensi, ovviamente, si difendono affermando che tutte le emissioni sono entro i limiti di legge e che le eventuali dispersioni non costituiscono pericoli per la popolazione, né per l’ambiente. Le polemiche, però, sono destinate a non esaurirsi, mentre la battaglia sui numeri e sulle valutazioni più o meno scientifiche accompagna la propaganda e le proteste.

Come nel caso della linea ferroviaria ad alta velocità, è difficile immaginare un accondiscendente stop al progetto, almeno per due fattori: l’estrema rilevanza che l’Amministrazione USA vi attribuisce; le autorizzazioni orami concesse dai vari livelli decisionali nazionali, nonostante l’avvicendamento di Governi centrali e regionali. Il percorso iniziò, infatti, nel 2001, con un’intesa bilaterale sottoscritta dal premier Silvio Berlusconi, cui, nel 2006, fece seguito la ratifica dell’accordo da parte del suo successore, Romano Prodi. I vari enti tecnici e locali, ai quali è stato demandato il compito di verificare i livelli d’impatto, hanno poi autorizzato la realizzazione degli impianti. Tutti i controlli sono stati superati e, pertanto, non sussistono elementi ostativi alla prosecuzione dei lavori e del programma, che è stato analizzato con particolare prudenza, proprio per prevenire eventuali problemi per la popolazione e l’ambiente.

La situazione, adesso, rischia d’impantanarsi tra le dichiarazioni velatamente preoccupate dei politicanti alla ricerca di consenso e l’antagonismo di piazza dei residenti, i quali, c’è da aspettarselo, alzeranno i toni della protesta qualora quelle strutture militari dovessero svolgere qualche ruolo attivo in occasione d’interventi all’estero.

Al momento, lo scenario non è sovrapponibile a quello montano alle prese con treni e linee ferrate, ma potrebbe facilmente infiammarsi, specialmente se qualche professionista della piazza volesse soffiare sul fuoco per le mille ragioni che sempre colorano tali circostanze. Ancora una volta la comunicazione sembra languire, mentre un quadro più nitido dei fatti potrebbe agevolare la comprensione e, soprattutto, la dissuasione di dubbi o paure, prima ancora che le fila della contestazione si rimpolpino d’incerti trascinati dagli agit-prop. Le Autorità, infatti, bene farebbero a rassicurare la popolazione circa l’assoluta accettabilità dei valori dell’ambiente, per fugare ogni timore e dimostrare d’aver agito con professionalità proprio nell’interesse della collettività.

Maurizio Carboni

Docente

Dipartimento di Scienze Informative per la Sicurezza

U.P. UNINTESS – Università Internazionale di Scienze Sociali

01/09/2013

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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