Sulla pedofilia femminile si sa poco ed è stato scritto ancora meno, questo però non vuol dire che non esiste. E’ un fenomeno rilevante e tendenzialmente nascosto o mitigato dal comune sentire, poiché di per sé è connaturato da aspetti ancor più aberranti rispetto all’orco stereotipato dell’uomo di bassa estrazione sociale e culturale che, spesso affetto da gravi patologie, abusa di un minore. Normalmente lo stereotipo e la generalizzazione fatta su un gruppo di individui, in tal caso quello dei sex offender, porta ad attribuire caratteristiche identiche a tutti coloro i quali rientrano a far parte di questa categoria, senza però tenere conto delle variazioni che intercorrono tra di essi.

Questo atteggiamento induce ognuno di noi a credere che la pedofilia sia una peculiarità del sesso maschile, forse perché appare inconcepibile che una donna, che per un naturale istinto materno dovrebbe proteggere il proprio figlio/a, si trovi invece ad abusare quando non a porre fine ad una vita che, per nove mesi, ha nutrito e protetto nel proprio grembo materno. Appare impossibile ma purtroppo, in molti casi, la pura e semplice espressione d’amore, di cura o di educazione, assume un significato negativo perché ammantata da sentimenti ostili e aggressivi, da un odio erotizzato, che profana irrimediabilmente la vita di ogni bambino abusato dalla propria madre. Ancor prima dell’individuazione delle cause della pedofilia femminile e delle sue peculiarità, è opportuno soffermarsi sulla considerazione di un fenomeno sociale allarmante, soprattutto sulla reticenza a considerarlo come tale, sulla ritrosia a svelare l’abuso quando è commesso da una donna, sulle attenuanti gratuite che vengono concesse a tutte quelle donne che per denaro cedono il proprio figlio a chi poi ne abuserà, o peggio ancora sul silenzio, la complicità di una donna che nasconde a tutti e a se stessa, la violenza fatta ad un bambino. Di fronte alla violenza posta in essere da una donna si rimane interdetti e come spesso accade si rinvia alla follia l’arduo compito di spiegare una simile azione deviante. Non bisogna certo dimenticare che, a volte, dietro ogni violenza agita si nascondono storie di abusi subiti nel silenzio e nella disperazione di chi non può reagire, storie di persone che vorrebbero spezzare quel silenzio, storie di donne che da vittime diventano carnefici, proprio perché gli è stata negata la possibilità di vivere serenamente la loro infanzia. La pedofilia femminile, rimane ancora oggi un grande tabù socio-culturale, difficile da eliminare, non solo per la negazione a priori di tale fenomeno, ma soprattutto perché sorretto da una sofferenza devastante e dal grande senso di vergogna delle vittime che li spinge a non denunciare e a chiedere aiuto. Infatti, in relazione a tale fenomeno il numero oscuro tende ad essere sempre più ampio e questo non fa che peggiorare le cose. La percezione sociale eleva le donne a soggetti “sessualmente inoffensive”, “dotate di un particolare ed innato istinto di protezione” che le fa apparire vittime di abusi anziché abusanti. Che dire invece quando l’abusante è proprio la madre? Di solito quando si parla di violenze in famiglia, nella maggior parte dei casi è sempre l’uomo ad essere il colpevole, lei invece rimane pur sempre la regina del focolare! Eppure le statistiche presentate dal Telefono Azzurro, per esempio, ci dicono che solo negli ultimi anni in Italia i casi di abusi sessuali commessi in famiglia da parte di donne sono saliti del 25-30%. E’ molto difficile tracciare un quadro completo ed esaustivo del fenomeno della pedofilia femminile, cosi come per gli uomini anche per le donne vengono fatte delle classificazioni al fine di circoscrivere, almeno da un punto di vista scientifico, il dilagare di una simile forma di devianza. Esattamente come succede per i pedofili uomini, le donne pedofile evadono dalla realtà ricercando altrove gli oggetti dei propri desideri. Tuttavia a scapito di quella maschile, la pedofilia femminile gode di una potente corazza protettiva che la allontana dal pericolo di essere riconosciuta e messa al bando. Tale corazza non solo è sorretta dalla società che depone a favore del ruolo della donna di madre amorosa, ma anche dal silenzio della vittima che non può certo capire l’aspetto malefico e perverso di ogni gesto d’affetto o d’amore che riceve. Verrebbe da chiedersi se abusare di un bambino o di una bambina, fosse diverso, o magari, limitandolo all’incesto, fosse più o meno grave. Comunque sia per un bambino che subisce violenze di vario genere, se il male viene fatto da un uomo o da una donna, o da entrambi, non c’è differenza alcuna.

La medesima classificazione psichiatrico-forense di pedofilia non fa distinzione tra uomo e donna, ma definisce pedofilo “chi, durante un periodo di almeno sei mesi, manifesti fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi. Specificare se attratto da maschi da femmine o da entrambi, e specificare se limitato all’incesto.”[1][1] In generale le cose che hanno in comune uomini e donne sono ben poche, anche nei crimini ci sono delle dinamiche e delle variabili che orientano le medesime azioni in maniera diversa. Innanzitutto è bene non pensare che alla base dei reati di pedofilia, indipendentemente dal sesso dell’autore, ci siano delle costanti ma è un reato che, fermo restando l’oggetto del desiderio sessuale, può avere diverse manifestazioni, che vanno dall’azione concreta nei confronti della vittima al traffico di materiale pedopornografico via internet. In merito alla pedofilia femminile, al di là delle cause che prevalentemente la determinano, quali per esempio l’abbandono, la perdita, la separazione, o semplicemente la soddisfazione sessuale e l’appagamento materno, è necessario differenziare il contesto dell’azione messa in atto. La pedofilia femminile intrafamiliare, per esempio, è prevalentemente incestuosa ed è difficile da individuare proprio perché celata dietro al ruolo della madre onnipresente nella vita dei propri figli, specie nelle prime fasi della loro crescita. In questo contesto l’azione deviante non appare particolarmente violenta, ma viene orientata dalla madre incestuosa verso l’oggetto del proprio desiderio sessuale, attraverso pratiche affettuose consolidate. Dalle testimonianze stesse di alcuni pedofili, si evince che le loro madri continuavano a fargli il bagno fino all’età dell’adolescenza oppure, in assenza del padre, li spingevano, ormai adulti, a dormire nel letto matrimoniale.

Altri fattori che potrebbero concorrere a determinante l’incesto sono le varie situazioni di incomprensioni e di ostilità che si creano a livello coniugale con la conseguente incapacità ad avere rapporti sessuali normali e regolari con uomini adulti. Da questi disagi all’interno della famiglia, a volte, dipendono madri che vedono e che percepiscono l’abuso e non fanno nient’altro che tacere e con il loro silenzio sono orribilmente complici di veri e propri crimini. Madri che lasciano i loro figli nell’oblio del dolore e del terrore, quei figli che spesso sono la prosecuzione della loro vita ma anche del loro dolore e di quei traumi che a loro volta hanno subito.

Spesso basta il semplice timore di essere lasciate e abbandonate dal marito, specie se economicamente dipendenti, a renderle colpevoli dell’opera distruttiva iniziata dal coniuge. Tuttavia, per quanto la maggior parte degli abusi sessuali commessi da donne avvenga tra le mura domestiche, la spirale infernale delle violenze sui minori non si ferma certo qui. Esiste infatti la cosiddetta pedofilia femminile extrafamiliare, con connotazioni diverse rispetto a quella intrafamiliare. Innanzitutto la motivazione che spinge la pedofila a procacciare vittime è uno sfrenato senso di potere e di piacere nell’esercitarlo su adolescenti e bambini. Si presuppone che sia una donna di un’età compresa tra i 25/50 anni, socialmente inserita, prevalentemente single e con una certa disponibilità economica, il che le permette di essere itinerante e avviarsi verso le diverse rotte del turismo sessuale. Ma a differenza dei loro “colleghi” maschi, le pedofile non possono usufruire della copertura di una fitta rete di agganci che garantiscono i dovuti benefici. Seppur diverse le mete verso cui si orientano, nel loro aberrante viaggio toccano terre diverse e mietono innumerevoli vittime, si spostano dal Marocco, dove pare siano indirizzate le donne nordamericane, verso i Caraibi, il Kenya e per le destinazioni più lontane la Giamaica e il Brasile. Il tutto passando per l’Italia e l’Europa. Un fenomeno dilagante che non vede confini, ma che offre uno spaccato agghiacciante sulla sua reale espansione. Non importa conoscere le loro mete, ci basta sapere che in qualsiasi angolo del mondo, ricco o povero che sia, evoluto o in via di espansione, ci sono bambini vittime di abusi privati del loro sacro diritto ad avere un infanzia e una vita. Il dolore e la paura che attanaglia le loro piccole vite li accompagneranno per sempre, ma la cosa più grave è che tutto questo verrà volontariamente riposto nel dimenticatoio della nostra coscienza sociale e morale, che induce a rifiutare e ad allontanare da noi questo mostro che potrebbe scuotere la nostra normalità. A questo punto volendo trarre delle conclusioni su cosa accomuna e/o differenzia il reato di pedofilia, si può affermare che in fondo c’è poco che differenzia gli autori, di sicuro la peculiarità del movente e del modus operandi, ma non nell’aver distrutto per sempre la vita di un bambino, il quale diventerà un adulto forse in grado di sopravvivere ad un simile orrore. La pedofilia esiste ed è un fenomeno trasversale, che non attecchisce solo in base all’appartenenza ad un ceto sociale, alla disponibilità economica, alla cultura o all’ignoranza, all’essere uomo o donna. Non è nemmeno genetica o innata, è solo volutamente messa da parte dalla coscienza collettiva, la quale continua ad essere succube dei propri mostri interni e, seguendo inerme uno sviluppo sociale e tecnologico inarrestabile, continua a perseguire ideali utopici.

Dott.ssa Margaret CICHELLO – Criminologa

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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