Controversie normative

Utile approfondire in quest’articolo una delle figure maggiormente all’apice delle controversie segnalate dai pubblici dipendenti approdati sul portale doppiolavoro.com che intenderebbero esercitare tale attività nel tempo libero così come apparentemente pianificato dalla normativa di settore.

Il conciliatore, o mediatore civile, è una figura introdotta dal decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, (Gazzetta Ufficiale n. 53) in attuazione della Riforma del Processo Civile (l. 69/2009). Trattasi di un titolo legalmente riconosciuto dal Ministero della Giustizia ai sensi del nuovo Decreto Ministeriale n. 180 del 18 Ottobre 2010, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.158 del 04.11.2010, che permette di ottenere il requisito formativo per chiedere l’iscrizione agli Organismi di Mediazione accreditati al Ministero della Giustizia o alle più autorevoli strutture di Giustizia Civile A.D.R. d’Italia.
Con il cambiamento normativo, avrà un ruolo sempre più importante il Mediatore Civile, una figura altamente specializzata, imparziale e neutrale, in grado di gestire efficacemente il contenzioso attraverso le più moderne tecniche di negoziazione e di facilitare l’accordo tra le parti orientandole verso la soluzione ottimale.
Per poter svolgere questa funzione, è richiesta una formazione specifica, a integrazione della propria preparazione professionale.
I corsi di specializzazione riconosciuti sono aperti a tutti i laureati in qualsiasi indirizzo (anche con laurea triennale), nonché agli iscritti a un ordine o collegio professionale (d.m. 180/2010).

Trattasi di figura giuridicamente riconosciuta, inquadrabile anche nel novero dei consulenti tecnici. Purtroppo, in quest’ultima fattispecie, alcune amministrazioni hanno eccepito il fatto che una tale attività, anche se esercitata solo all’occorrenza e nei casi sporadici in cui venga incaricato un contenzioso, comporta comunque un fattore di continuità anomalo e difficilmente circoscrivibile e conciliabile con le mansioni demandate per legge alle amministrazioni e ai pubblici dipendenti in genere.

I pubblici dipendenti specializzati a seguito della frequentazione del relativo corso di formazione potranno richiedere la relativa autorizzazione, ma potrebbero ottenere l’assenso solo nei casi in cui saranno in grado di dimostrare che l’attività in questione sia circoscritta a pochi incarichi non continuativi, fattispecie ben complessa in considerazione delle dinamiche di attuazione dell’attività stessa.

Per tali contingenze l’attività citata, in considerazione dell’eventuale continuità e della scarsa possibilità di circoscrivere l’attività in un contesto temporale idoneo, presenta presupposti di incompatibilità da valutare caso per caso. A tal proposito, nonostante la breve vita della normativa, sono già state molteplici le prese di posizione documentate dai dipendenti, che sarà utile trattare.

La normativa di settore esplicita in maniera non chiara che l’esercizio dell’attività è aperta anche ai pubblici dipendenti in possesso dei requisiti richiesti. Molte amministrazioni, (in assenza di direttive precise che dovranno necessariamente essere emesse dal Dipartimento della Funzione Pubblica) hanno rigettato molte istanze. Oltre alla menzionata diga della circoscrivibilità del contesto attuativo, viene posto quale ulteriore ostacolo il presupposto di professionalità, in quanto la figura del mediatore, in considerazione del rapporto giuridico-economico con gli enti, aggiunto a competenza ed esperienza, nonché a doveri del conciliatore (riservatezza degli atti, segreto professionale, inutilizzabilità di dichiarazioni e informazioni acquisite durante il processo di mediazione) lo parifica a una figura professionale.

Utile, in tal caso, eccepire che il primo ostacolo di diniego (presupposto di continuità) è aggirabile materialmente circoscrivendo l’attività con un numero limite di mediazioni e incarichi sottoscrivibili preventivamente nell’arco dell’anno, al quale si aggiunge la piena libertà di organizzazione del conciliatore in merito alle tempistiche di esecuzione delle mediazioni e al ristretto margine temporale che le stesse contemplano per singolo procedimento.

In merito alla seconda origine di diniego (presupposto di professionalità), utile rimarcare che il mediatore non è un giurista, né tantomeno un giudice, ma solo “un soggetto” al quale viene richiesto, mediante la comunicazione, di far pervenire le parti a un accordo. Inoltre la specifica interpretazione che certe amministrazioni hanno voluto attribuire al peculiare presupposto di professionalità, appare in contrasto con quanto non solo stabilito dalla norma di settore, ma con quanto materialmente sia l’applicazione pratica delle direttive. La figura di conciliatore viene rivestita e può essere rivestita, da soggetti non essenzialmente professionisti del campo legislativo e giurisprudenziale: l’essenziale è che questi abbiano di fatto conseguito la qualifica prevista dalla norma, (a seguito di un corso di formazione molto breve) indipendentemente dalle nozioni giurisprudenziali conseguite in altri campi. Concretamente l’attività può essere regolarmente esercitata (e viene tangibilmente esercitata) da chi esercita materialmente un’altra attività prevalente non necessariamente dettata da requisiti di professionalità inerenti la tematica in questione.

Il conciliatore non è materialmente un libero professionista, ma semplicemente un soggetto con altra attività lavorativa prevalente che, previa qualificazione, personifica questa figura in via saltuaria in alternativa all’impiego principale.

Pertanto appare invece chiaro che il mediatore, al contrario di quanto evidenziato da alcune amministrazioni, non sia una figura necessariamente professionale con requisiti e studi specifici di settore, ma abbia qualificazioni anche in altri campi con l’unica eccezione di essere giuridicamente qualificato a seguito del conseguimento dello specifico corso di formazione.

Chiaramente lo stesso deve ottemperare a specifiche attribuzioni e doveri, quali: segreto d’ufficio, inutilizzazione delle dichiarazioni ecc. che vanno materialmente in capo a soggetti che concretamente esercitano in via tangibile altra attività lavorativa non essenzialmente connessa alla professionalità della figura istituzionale che si vuole attribuire al conciliatore.

Per tale motivazione, il conseguimento della qualifica di conciliatore è aperta ad una moltitudine di soggetti, ivi compresi (apparentemente) i pubblici dipendenti, proprio per l’assenza del carattere “vero” di professionalità e del carattere reale di libera professione o professione intellettuale disciplinato dall’art. 2229 e seguenti del codice civile, nei quali sono evidenziati i caratteri reali del professionista di settore, ben discosti dalle attribuzioni del conciliatore.

Apparirebbe inverosimile poter parificare un giurista specializzato che detiene la propria attribuzione a seguito di anni di studi e praticantato a soggetti materialmente qualificati solo a seguito della frequentazione di un breve corso di qualificazione.

A seguito di quanto esposto, appare che il presupposto di professionalità così come espresso in alcuni provvedimenti di diniego offerti dalle amministrazioni, non possa essere contestualizzato nella figura attuale del conciliatore.

A tal proposito i moniti lanciati al dipartimento della funzione pubblica e sulle testate di stampa, lasciano aperte le porte ad attese future prese di posizione in tal senso, orientate a maggiore trasparenza nel settore e valutazione più congrua e razionale della figura del mediatore contrapposta alla sua attribuzione e allo status di pubblico dipendente.
Attualmente tutti i pubblici dipendenti che hanno investito il loro capitale al fine di qualificarsi per esercitare l’attività in concomitanza al pubblico impiego, si sono trovati in carico un diniego motivato da fattori riqualificabili a professionisti del settore, quali avvocati o giuristi specializzati. Chiaramente se il legislatore avesse voluto circoscrivere l’attuabilità solo a determinate figure professionali avrebbe certamente a priori escluso pubblici dipendenti o comunque soggetti laureati e specializzati in settori discosti dalla materia giuridica.

Entriamo nella specifica analisi della norma:

il comma 4 dell’art. 6 del suddetto regolamento, in materia di requisiti per l’esercizio delle funzioni di mediatore, recita: “Le violazioni degli obblighi inerenti le dichiarazioni previste dal presente articolo, commesse da pubblici dipendenti o da professionisti iscritti ad albi o collegi professionali, costituiscono illecito disciplinare sanzionabile ai sensi delle rispettive normative deontologiche. Il responsabile è tenuto a informarne gli organi competenti”;

Una tale dicitura è stata interpretata dai pubblici dipendenti come una sorta di apertura per l’esercizio di tale attività per la quale non sia ravvisabile alcuna incompatibilità tra la mediazione e lo status di pubblico dipendente, dal momento che in caso contrario tale figura non sarebbe certo nemmeno stata menzionata;

Tale contingenza appare tra l’altro avallata alla luce del parere sul regolamento reso dal Consiglio di Stato nell’adunanza del 20 settembre 2010 (n. 3640/2010), nel quale si ricorda che il medesimo Consiglio, con parere interlocutorio del 26 agosto 2010, aveva segnalato specificamente la questione della compatibilità della funzione di mediatore con quella di pubblico dipendente, riconoscibile implicitamente nell’articolo 6, comma 4, del decreto ministeriale;

Come da regolamento, il mediatore non ha l’onere di interferire in alcun caso nelle decisioni delle parti, a meno che queste non richiedano espressamente di formulare una proposta, che spetta comunque alle parti di accettare o rifiutare. A tal proposito il Dipartimento della funzione pubblica nel 2005, nel fissare i requisiti peculiari per l’esercizio di attività extra autorizzabili, ha stabilito i principi della non conflittualità dell’attività con gli interessi dell’amministrazione e della sua compatibilità rispetto alle funzioni cui il dipendente pubblico è adibito. A tale proposito si rammenta che sono autorizzabili gli incarichi presso le commissioni tributarie, fattispecie non dissimile dall’attività di mediazione;

Alla luce di quanto esposto, il pubblico dipendente attualmente richiede di conoscere quali iniziative od orientamenti specifici si voglia assumere al fine di chiarire la compatibilità della funzione di mediatore presso gli organismi autorizzati con quella di pubblico dipendente, per evitare, in assenza di disposizioni contestuali, prese di posizione delle amministrazioni del tutto personalizzate o drasticamente unilaterali. Appare chiaro quanto sia necessaria una disposizione chiara e trasparente allo scopo di uniformare appieno le delibere espresse dalle singole amministrazioni nella trattazione delle istanze di autorizzazione.

Il monito al Dipartimento della Funzione Pubblica è stato inviato, ma tuttora, non è stata emanata alcuna delibera in merito. I pubblici dipendenti restano in solerte attesa.

Massimiliano Acerra

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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