violenzaVi è una parola nella fede induista che significa non-violenza, non-danneggiamento, non-ferimento. Questa parola, “ahisa”, è la chiave della dottrina che insegna a non uccidere nè danneggiare esseri viventi e implica la fede nella sacralità della vita. Tutte le religioni indiane la considerano una virtù cardinale. Ma ovunque nel mondo le leggi, umane e divine, talvolta insieme, considerano la pena contro chi usa violenza uno dei cardini della legge.

Purtroppo a volte, in regimi ideologizzati o teocratici, il diritto al ricorso alla violenza non è limitato all’autodifesa, ma è esteso verso tutti coloro che vengono considerati nemici. In questi casi la religione viene piegata pragmaticamente alla volontà dei capi, che ordinano il popolo la mobilitazione di guerra, anche se questa prende la forma del terrorismo.

Abbiamo assistito nei giorni scorsi ad una coppia di atti di tale natura, fortunatamente senza gravi conseguenze, contro il premier italiano ed il Capo di Stato Vaticano. Anche se sarà confermato che entrambi gli autori di tali gesti sono da considerarsi soggetti psicolabili, cioè facilmente influenzabili e particolarmente inclini ad aggressività, occorrerà comunque ragionare sul perché esistono delle campagne di odio pubbliche che generano in alcune collettività (familiari, amici, facebook) sentimenti di rivalsa e forte emotività. Logicamente, il passo da qui all’irrazionale è breve e c’è da meravigliarsi, contrariamente alle drammatizzazioni di rito, che non accada più di frequente.

Provvedimenti che blocchino i forum di Internet hanno un valore, ma non eliminano il problema alla radice. Frange estremistiche (nei comportamenti e anche nelle parole) esisteranno sempre, ma l’educazione del singolo è un nodo fondamentale della civiltà. Personalmente lascerei che ognuno sia libero di pensare come crede, perché le idee in gabbia possono generare mostri e perché è comunque produttivo nell’evoluzione mentale di ognuno arrivare anche a ragionamenti molto radicali, se poi in una sintesi finale a prevalere è il buon senso.

Oggi nel mondo occidentale si considera violenza fisica ogni atto che comporti l’uso della forza contro altri esseri umani, facendo eccezione per le attività militari o di polizia, per l’autodifesa, e per tutti gli sport comunemente accettati anche se cruenti (si pensi alla boxe o al wrestling, che contano numerosissimi appassionati). Nel passato, e al giorno d’oggi in alcuni Paesi, non è considerata violenza la pena capitale ma solo un atto di giustizia (legge del taglione?), mentre in certi ambienti è ancora ritenuta utile la tortura almeno finché non diviene di pubblico dominio (Abu Graib).

Vi è poi da stabilire il limite oltre il quale la violenza sia da reprimere, e in termini di entità e per quanto riguarda l’applicabilità (animali, sperimentazione, ecc.).

Sarebbe utopistico pensare a un mondo privo di aggressività, di tensioni sociali o familiari, di gravi atti malavitosi, o -peggio- di guerre. I “figli dei fiori” degli anni ’70 immaginavano un mondo siffatto, mentre Marcuse teorizzava la ribellione violenta, mai per la verità appagante. Visto il peggiorare della situazione, che è sotto gli occhi di tutti tranne di quelli che evitano d’informarsi, non è lecito chiedere agli “addetti ai lavori” di fermare immediatamente l’escalation?.

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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