marino foto Il fenomeno del terrorismo rappresenta un tema fondamentale per l’agenda giornalistico-mediatica, l’appeal informativo che riesce a esercitare su di essa gli conferisce un ampio spazio all’interno delle tematiche trattate e una conseguente e proporzionale visibilità. Il terrorismo ha come obiettivo precipuo e finale il suscitare nelle persone il terrore di ciò che invisibile e imprevedibile, come preconizza il nome stesso, l’inibizione delle attività e la riduzione drastica dei comportamenti sociali. Rappresenta quindi una modalità molto efficace per condizionare, controllare, inibire, appunto, il comportamento altrui attraverso suggestioni emozionali negative.

Da sempre la violenza e la paura, sia espresse con attentati sia minacciate dalla propaganda, sono usate come tecniche deterrenti, di pressione e di imposizione di consenso sui popoli.

Dall’11 settembre del 2001 nel mondo occidentale le immagini degli aerei che si schiantano contro le torri gemelle a New York, concepite come parte integrante dell’attentato da una sapiente guida registica, hanno provocato un cambiamento sostanziale nella routine quotidiana di migliaia persone, così come le ultime minacce del terrorismo batteriologico stanno modificando alcuni abitudini come andare al cinema, al ristorante, prendere la metropolitana o semplicemente aprire la posta.

Gli atti di terrorismo coinvolgono emotivamente tutta la popolazione che ne è colpita, non solo quindi i “ classici” obiettivi come gli uomini di governo, i politici e le forze armate. Il terrorista ottiene, con l’effettiva e barbarica uccisione di civili innocenti, pochi o molti che siano, il condizionamento inibitorio e la diffusione di un panico cieco e irrazionale di interi popoli. Il coinvolgimento emozionale attiene alla poderosa stimolazione di ogni forma di paura che risieda nella personalità della vittima. Si amplificano infatti non solo il timore della morte, ma anche quello intimo e soggettivo che riguarda le malattie, degli incidenti, delle brutte notizie e di molte altre ancora secondo dinamiche progressive e incontrollate. Si esacerba in modo esponenziale  l’intolleranza allo stress e alle frustrazioni. Aumenta la diffidenza e l’ostilità verso tutto ciò che è “altro”, sconosciuto, estraneo al proprio quotidiano. Persone che già avevano per motivi personali un precario equilibrio psicologico, dopo l’11 settembre si sono ritrovate a non dormire, a non riuscire a stare da sole, a rifiutare i luoghi affollati e a far un uso massiccio di psicofarmaci sedativi. Tutti questi effetti psicologici e comportamentali non rappresentano altro che il pieno raggiungimento dell’obiettivo terroristico.

Fondamentali e funzionali alla causa sono i mass media: per coinvolgere il maggior numero di persone e fidelizzarle il terrorismo ha bisogno ed usa i mezzi di comunicazione di massa con estrema maestria rendendo questi ultimi una necessaria e a volte inconsapevole cassa di risonanza per le proprie gesta. I giornali, la televisione e il Web costituiscono strumenti importanti che entrano a far parte integrante del Kit del Terrorista tipo.

Ogni terrorista cerca con cura il contatto con la stampa e le televisioni ed accetta ogni richiesta di intervista con piacere. Il governo degli USA ha per questo più volte chiesto ai network dell’informazione, come la CNN, un intervento fortemente censorio sulle dichiarazioni di Osama Bin Laden e sui recenti proclami e  drammatiche gesta dell’Isis.

Il terrorismo, attualmente, è concepito come caratterizzato da un forte impianto registico che ne amplifica gli effetti e perciò vuole agire sotto i riflettori: non avrebbe avuto lo stesso effetto psicologico il sapere semplicemente che due aerei si erano abbattuti sulle torri gemelle. Il saperlo leggendolo sul giornale sarebbe stata una semplice informazione con scarsa risonanza emotiva, così come avviene, ed è terribile sottolinearlo, per i frequenti genocidi che avvengono in Africa tra tribù rivali. Il terrorista sa che nel mondo della comunicazione globale la televisione, il quotidiano, la Rete conferiscono legittimità e veridicità a ciò che trasmettono. Vedere più volte gli aerei che, dopo l’impatto, esplodono sulle torri o le terribili decapitazioni del califfato ne moltiplica il potenziale distruttivo in senso strettamente inerente all’atto, ma, al tempo stesso, esacerba il conseguente impatto psicologico sulla popolazione. Non è più solo informazione, ma diventa un dramma emotivo, collettivo, interiore e, al tempo stesso, pubblico: la concretizzazione di ogni paura e il cedimento di qualunque certezza, di ogni stabilità, di quell’equilibrio su cui si basa il vivere civile e democratico. Ma c’è anche l’altra faccia delle medaglia. Il fascino del male. Quel tipo di appeal veicolato dai media e dalla contaminazione socioculturale che spinge tanti giovani europei e americani ad abbracciare la causa dell’Isis, a condividerne i valori e le battaglie, trasformando una scontro religioso e, come detto, culturale in una guerra fratricida e se possibile, ancora più drammatica. In questo senso il compito della comunicazione diventa fondamentale, centrale il suo ruolo pedagogico e censorio: il primo finalizzato a mostrare le miserie e la barbarie della guerra tout court, il secondo atto a neutralizzare un’arma potente nelle mani dei terroristi, la comunicazione stessa e quella tecnologia che utilizzano con la maestria degli addetti ai lavori e che ammanta di modernità uno scontro medievale e anacronistico.

16/02/2017
Prof. Marino D’Amore
LUDES HEI Foundation Malta campus Lugano
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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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