Il destino dell’Italia sembra ciclicamente collegato agli attentati, non solamente esplosivi, ed alla minaccia terroristica tanto quanto quello statunitense appare legato alla triste tradizione degli assassinii dei Presidenti, tra i quali, per carenza di conoscenza, ci si ricorda quasi esclusivamente di J. F. Kennedy.

Così, nell’ultimo periodo, sulla penisola s’è nuovamente allungata l’ombra del terrore: per mano anarchica che ha colpito l’ingegnere Roberto Adinolfi, amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare, e sotto la veste ignota che a Brindisi, il 19 u.s., con un ordigno artigianale ha provocato la morte d’una giovane studentessa ed il ferimento di tante altre.

Si tratta di due episodi diametralmente opposti che in alcuni osservatori hanno riproposto alla memoria analogie e circostanze già affrontate nel passato, quando gli strumenti d’indagine erano meno sofisticati e non si poteva fare affidamento su videoriprese e tracce lasciate da telefoni cellulari.

Del primo attentato sappiamo quasi tutto, se si esclude la responsabilità del feritore e dei complici direttamente coinvolti, del secondo, invece, disponiamo da giorni esclusivamente di ipotesi, ognuna delle quali si sostituisce alle precedenti, senza, però, individuare ancora l’esecutore ed il movente. Forse troppo prematuramente è stata accusata del gesto la criminalità, non solamente autoctona, poiché la scuola nei pressi della quale è esploso l’ordigno risulta intitolata a Francesca Laura Morvillo Falcone, magistrato, più nota in quanto moglie di Giovanni Falcone, insieme al quale fu uccisa a Capaci (Pa), il 23 maggio 1992, a seguito d’un attentato dinamitardo di straordinaria potenza. Poi s’è pensato anche al terrorismo più qualificato, ma l’ipotesi è subito decaduta.

La prima tesi sembrava rafforzata dalla presenza della criminalità organizzata in terra di Puglia, dove la Sacra Corona Unita rappresenta una realtà ben strutturata e determinata a mantenere inalterato il proprio prestigio, ma proprio per tali ragioni appare difficile credere ad una sua responsabilità del gesto. Se così fosse si alienerebbe simpatie e connivenze, interromperebbe la continuità emotiva con la popolazione ed avrebbe attirato un’eccessiva attenzione da parte di inquirenti ed investigatori, aspetto, quest’ultimo, che non giova certamente a coloro che vivono nell’illegalità. Nella malavita, inoltre, esistono codici comportamentali e regole ben definite, ragion per cui stride anche la possibilità che qualcuno giunto da altre regioni abbia potuto colpire in modo così anomalo senza chiedere l’autorizzazione a coloro che controllano quei territori.

La matrice terroristica sembra impossibile, sia che ci si riferisca a quella islamica, ancor più se pensiamo alla natura politica, poiché un tale agire non rientra nelle tradizioni né nelle strategie della sinistra, mentre non avrebbe senso per la destra moderna. È assente, inoltre, la rivendicazione, cioè quell’attestazione di paternità che ha sempre accompagnato gli episodi più cupi della nostra storia recente, che rappresentano la complementarità di una piattaforma ideologica che cerca sempre di spiegare l’azione inquadrandola in un contesto storico e politico.

Il gesto isolato di un pazzo è possibile e se così fosse sarebbe forse più facile individuarlo, poiché in assenza di motivazioni politiche il singolo attentatore desidera catalizzare l’attenzione sul suo operato, si inorgoglisce seguendo le cronache dei media, quasi indirizza gli investigatori sulla traccia giusta per confermare la propria abilità, anche nel sottrarsi alle indagini. Il nostrano unabomber, che per tanti anni s’è cimentato con ordigni artigianali, ne è una riprova, sebbene sia rimasto sconosciuto nonostante una equipe d’investigatori appositamente costituita abbia lavorato anni per identificarlo.

Un’altra ipotesi potrebbe essere l’intrusione d’una forma di criminalità straniera, che tenta di radicarsi sul territorio ed all’interno di scontro carsico con i rivali locali già strutturati decide di colpire un punto critico, nevralgico e sensibile, lanciando un ammonimento che possono decriptare solamente i destinatari, non del gesto ma del messaggio simbolico che l’accompagna.

Forse è per tali ragioni che anche la criminalità locale ha fatto sapere senza mezzi termini che sta svolgendo indagini parallele a quelle ufficiali per individuare i responsabili. Qualora riuscisse nell’intento accrescerebbe la propria autorevolezza e spingerebbe ancora un po’ più in la lo Stato e la cultura della legalità, che non è certamente ripristinata dalla contemporanea presenza dei vertici istituzionali locali e nazionali in occasione delle esequie della ragazza deceduta.

Maurizio Carboni – Vittorfranco Pisano

Docenti

Dipartimento di Scienze Informative per la Sicurezza

U.P. UNINTESS – Università Internazionale di Scienze Sociali

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Di Atlasorbis

Redazione Nazionale

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